Non si legge ad alta voce per far bella figura

domenica 1 Luglio 2012

[Metto qua sotto un pezzo di Francesco Borgonovo che è uscito ieri sul foglio]

Ci vorrebbe che Gulliver s’imbarcasse su una chiatta e si facesse trasportare dalle acque del Po, s’intrufolasse nelle vie d’acqua padane, pescando ogni tanto dal Grande Fiume una bottiglia. Ce ne sono tante, spinte dalla corrente, e contengono tutte strampalati messaggi. «E’ frequente però nelle pianure, mi hanno detto, trovare nei pozzi lettere, biglietti, lettere minatorie o scarabocchi tappati dentro a una bottiglia», scriveva Ermanno Cavazzoni, strambo Erodoto di quelle zone. «Questo fenomeno non si sa spiegare; anzi in molti credono che l’acqua dei pozzi sia comunicante nel sottosuolo, e che qui in pianura si sentono dai pozzi spesso venire voci o lamenti, e ci si sente a volte chiamare per nome».
Dalle bottiglie possono spuntare i disegni che Federico Fellini inviava al Marc’Aurelio; i raccontini che Giovannino Guareschi annusava sulla carta la mattina, dopo notti senza dormire trascorse fumando sigarette, fino a incidersi la faccia slavata d’occhiaie profonde. Sono bottiglie in balìa della corrente le buste gialle e sottili che Maurizio Milani imbuca da Codogno, immaginando che arrivino in chissà quali città lontane, e chissà se arriveranno mai, dunque meglio spedirle in duplice o triplice copia. Stesso incerto destino avevano le opere del filosofo Learco Pignagnoli, la cui biografia recita: «Nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto. Lavora presso la ditta Scoppiabigi & Figli, dove tiene dietro al loro lupo».
Se Gulliver aprisse una di quelle bottiglie gettate nei pozzi e trascinate poi nel fiume, penserebbe che le ha scritte qualche matto dei dintorni, gli parrebbero sconclusionate e magari comiche, ma di una comicità che a lungo andare ti fa venire il magone. Seguendo la traccia delle bottiglie s’imbatterebbe allora nella popolazione dei Lunatici, che vive di soppiatto nelle terre da Lodi a Bologna, con qualche enclave in Romagna e poche altre colonie sparse nel resto della Penisola. Più o meno, i territori esplorati da Gianni Celati – talvolta in compagnia del fotografo Luigi Ghirri – e raccontati in Verso la foce: «Nella pianura stradale a scacchiera si intersecano tutti dritti per trenta o quaranta chilometri, sentieri su e giù dagli argini dei canali che costeggiamo, ed è sempre come essere in una piega della terra. Zone così piatte e uniformi che tutto compare ad altezza d’occhi senza orizzonte, si sente nostalgia d’un punto un po’ sopraelevato per guardarsi intorno». Continua a leggere »