2 aprile – Cracovia
Mercoledì 2 aprile
a Cracovia,
al centro conferenze Gose,
dentro la manifestazione
Un treno per Auschwitz,
organizzata dalla Fondazione Fossoli,
leggo un discorso
che si dovrebbe chiamare
La zona
Mercoledì 2 aprile
a Cracovia,
al centro conferenze Gose,
dentro la manifestazione
Un treno per Auschwitz,
organizzata dalla Fondazione Fossoli,
leggo un discorso
che si dovrebbe chiamare
La zona
C’erano delle cose complicate, lì ad Auschwitz. La cosa più complicata, mi sembra, era: Tutta questa bontà. Esser lì insieme a settecento studenti, tutta questa bontà. Ma lì io non ci pensavo, ci penso adesso che sono tornato: Tutta questa bontà. Noi siamo abiutati che essere buoni c’è da avere vergogna, mi sembra. Noi siamo abituati così. Non in Polonia, in Italia.
Cinque anni fa, nel 2006, mi ha chiamato Silvia Mantovani, della fondazione Fossoli; Fossoli è una località vicino a Carpi dove c’era il campo di concentramento dal quale, nella seconda guerra mondiale, partivano i deportati per i campi di sterminio del nord Europa.
Silvia mi ha detto che la fondazione Fossoli organizzava, da qualche anno, un viaggio per 600 studenti delle scuole superiori della provincia di Modena, e che questi studenti erano accompagnati da storici, musicisti, registi, scrittori e testimoni; un viaggio in treno da Carpi ad Auschwitz; lo stesso viaggio fatto, settant’anni fa, da Primo Levi e da tanti altri insieme a lui.
Silvia mi ha chiesto, cinque anni fa, se volevo andare anch’io, si partiva il 25 di gennaio in modo da essere sui campi il giorno della memoria, il 27.
Io mi ricordo di averle detto che a me, il giorno della memoria, era una cosa che mi ricordava un po’ le notti bianche. Le notti bianche, per come le capisco io, son delle notti che dall’alto, il sindaco, per dire, ti ordina di uscire e di star fuori tutta la notte; il giorno della memoria è un giorno che dall’alto, il parlamento, per dire, ti ordina di ricordare e ti dicono anche che cosa, devi ricordare. “Ecco, – ho detto a Silvia cinque anni fa, – a me, per come son fatto, viene da uscire un altro giorno, e da ricordare un’altra cosa, in quei giorni lì”. E mi aspettavo che Silvia mi dicesse “Ho capito, grazie, scusa se ti ho disturbato”, e mettesse giù. Invece mi ha detto: “Ma sai che un po’ anch’io la penso così? Perché non vieni a dirle sul treno, queste cose qui?”. E allora, non so, sono andato. Continua a leggere »
Questa settimana, siccome sono via, non ci sarà L’almanacco della settimana scorsa, verrà recuperato la prossima settimana quando ci sarà L’almanacco degli scorsi quindici giorni. Non ci sarà nemmeno la lettura delle anime morte di Gogol’, che riprenderà lunedì prossimo, 31 gennaio. Queste cose non ci sono perché io sono via, in Polonia, dove, a Cracovia, per la Fondazione Fossoli leggerò un discorso abbastanza lungo, dal quale metto qui un pezzetto, che è questo qua:
Un’altra cosa che ti succede, se scrivi dei libri, perlomeno a me è successa, è che dopo un po’ ti chiedono di far delle cose che non sei capace di fare, a me per esempio a un certo momento hanno chiesto di rivedere una sceneggiatura cinematografica e io, non so se succede anche a voi, ma io certe volte faccio delle cose che mi chiedo perché le faccio, e mentre le faccio so benissimo che quando le avrò fatte mi chiederò perché le ho fatte, però le faccio, non so perché, e la revisione della sceneggiatura ho fatto anche quella e è stato anche un lavoro che mi è piaciuto abbastanza, avevo a che fare con una produttrice e la sua collaboratrice, Anna e Teresa, si chiamavano, che ogni volta che gli mandavo un pezzo mi telefonavano subito mi dicevano che ero bravissimo, anche un po’ per vanagloria, mi piaceva, forse, non so, sta di fatto che mi è piaciuto fino al momento che mi è arrivato il contratto che allora è successa una cosa che ho anche raccontato dentro in un libro che si intitola I quattro cani di Pavlov in un pezzo brevissimo che mi permetto di leggervi, che fa così: Continua a leggere »
Certe volte faccio delle cose che mi chiedo perché le faccio, e mentre le faccio so benissimo che quando le avrò fatte mi chiederò perché le ho fatte, però le faccio, non so perché.
[Forse è una parte del discorso Noi la farem vendetta? che leggerò a Cracovia, forse no]
[Oggi, sulla Gazzetta di Modena, ci dovrebbe essere uno speciale sul treno della memoria organizzato dalla fondazione Fossoli. Metto qua sotto un pezzettino che si trova anche qui, insieme a diversi altri]
È il terzo anno che faccio questo viaggio da Carpi a Auschwitz, e tutte le volte che torno, se qualcuno mi chiede com’è andata, ho un po’ vergogna a dire che è stato un viaggio bellissimo e che mi sono divertito molto, però lo dico lo stesso. Uno che non c’è stato, pensa probabilmente a un viaggio di questo tipo come a una celebrazione funebre, come a una di quelle occasioni in cui devi andare là, vestito a lutto, con la faccia triste, un po’ di circostanza, sorbirti una serie di discorsi ufficiali, di circostanza, e poi torni indietro sollevato, con l’impressione di avere adempiuto a un dovere. Per via che, come dice Bruno Rovesti in Vite sbobinate, «Non c’è niente da vedere a un funebre, un funebre non parla più». Invece lì, ad Auschwitz, e su quel treno che parte da Carpi, c’è un sacco di cose, da vedere, c’è un sacco di gente che parla e che si sforza, di vedere, e di interpretare, e di rimettere in ordine le cose che sa, e questa cosa, di mettere insieme seicento persone che guardano, e che si sforzano, produce una specie di grande perturbazione nella semiosfera, perturbazione che ha, su alcuni, su di me certamente, degli effetti stranissimi, ti fa battere il cuore.