sabato 27 Novembre 2010
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L’ultima volta che ci son stato è stato poco fa, ne sto venendo via.
Ne sto venendo via su un treno pieno di bambini, un treno di quelli piccoli, che vanno in provincia, che fanno tutte le fermate, che non funzionano coi biglietti normali, con dei biglietti speciali, che hanno la forma di quelli dell’autobus, un treno che potrebbe essere un autobus, pieno di bambini.
In stazione, nel piazzale, su una panchina, c’erano due che sembravan due barboni, due che dormono per strada, due senzatetto, e uno rasava la testa all’altro, con un rasoio, e stava così attento.
Una volta un poeta russo, in una cosa che si intitola Conversazione su Dante, si è chiesto quanti sandali aveva consumato Dante per scrivere la Divina Commedia.
Adesso, sandali se ne consuman poco, si consumano di più i biglietti dell’autobus.
Negli anni cinquanta era un posto che, al mattino e alla sera, quando aprivano e chiudevano le fabbriche, gli autobus erano gratis.
Il suo colore è il rosso, il suo colore è quello, il rosso dei tetti, degli autobus, dei cassonetti, delle cassette delle lettere, dei condimenti, il rosso delle bandiere rosse, il rosso del quadro del funerale di Togliatti, che è qui, dentro un museo che è stato forno del pane, per i poveri, c’è stato un sindaco socialista, qui, agli inizi del secolo scorso, e poi è stato deposito di bare, e adesso museo, con dentro un quadro rosso, i funerali di Toglatti, famoso, uno lo vede per la prima volta e l’ha già visto.
Quando ci sono arrivato io per abitarci, undici anni fa, gli autobus gratis c’erano per andare in fiera, i giorni delle fiere, non tutte le fiere, solo quelle grandi.
La gente qui, dicono, è simpatica, gli abitanti, è un piacere, sentirli parlare, è solo difficile trovarli, è un po’ di tempo che si sono barricati, non si sa a far cosa, a tener dietro a degli affitti, dicono, affittano, qui, se cerchi un affitto, vieni, qui si trova. Continua a leggere »
giovedì 25 Novembre 2010
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Ci avrò vissuto, in tutto, venti giorni. La prima volta ero a un convegno, vedevo solo convegnisti. Mi aveva fatto questo effetto, che gli abitanti erano tutti convegnisti.
La volta dopo ero a casa di un mio amico. Lui andava a lavorare, io l’aspettavo a casa e non sapevo cosa fare. Mangiavo. Si mangia bene, dicono.
C’era una pizzeria, lì sotto casa, c’era un signore, piccolo, aveva la parrucca, le braghe nere, una camicia bianca e un corpetto rosso. Veniva al tavolo a prender le comande, poi andava dietro al forno, elettrico, metteva su un grembiule e metteva dentro le pizze, surgelate.
Dopo tornava al tavolo, portava le bottiglie, e poi tornava indietro a sfornar le pizze.
E poi veniva al tavolo, le portava, e poi andava dietro il banco a fare i caffè.
Dopo andava alla cassa e ti faceva il conto.
Non si spendeva molto. Continua a leggere »
martedì 23 Novembre 2010
Ci son stato una volta. C’era una piazza chiusa, un muro non intonacato, le seggiole di plastica. Bianche. Ho mangiato delle cose fritte, su una tovaglia di carta, di quella che usano per asciugare il fritto. Marrone. Ho dormito in un letto da bambini, in una casa deserta, avevo fame.
Sono ripartito il giorno dopo, in treno, un treno normale, solo un po’ più pieno del normale. Mi ricordo bene, non ho visto niente. Solo una piazza, delle sedie, una tovaglia, una stanza da bambini in una casa vuota. Dico tutto quel che so, non so praticamente niente. Non ci son mai più stato. Posso parlare di un’altra cosa?
Del posto dove sono nato. Che è una città così, non troppo grande, che a me, lo so che non è bello dirlo, piace tanto. Adesso non ci abito, ci vado poco.
Lì, a certe ore, c’è una luce, in strada, che se hai un umore che i pensieri ti permetton di guardare, ti sembra di nuotare, nella luce. Continua a leggere »
lunedì 22 Novembre 2010
Ci vai da giovane, per prendere lezioni.
Danno lezioni.
Sono simpatici, ti fanno far dei giochi, per insegnarti. C’è sempre un giapponese, o coreano, che fa fatica, poveretto, e tiene indietro tutti.
Ti sudano le mani, non ti piace.
Ti chiedono dei sogni, Cos’è che vuoi sapere?
Ma dài, è un gioco.
Anche se è un gioco, io non dico niente.
C’è un’ungherese bella che le dai fastidio e una spagnola, brutta, che ti segue sempre.
In generale c’è pieno di spagnoli, che dicono Siam tutti dei toreri.
C’è un ristorante che paghi una bistecca, ne puoi mangiare quindici, se riesci. Ci vai una volta alla settimana, e mentre vai fischietti.
Il resto, dei pop corn sparsi lì dentro, sul pavimento del tuo bed and breakfast, facciata bianca, bella, i pachistani che gestiscono ti lasciano un biglietto Clean up your room o giù di lì, non l’hai imparata bene, questa lingua, non ci sei mai entrato, ti sembra tutto troppo colorato, con quei cappelli, lì, ma come fate? Continua a leggere »
domenica 21 Novembre 2010
Era intera, ma da poco, dieci anni, cosa sono dieci anni, non son niente, eran due giorni, per lavoro, cioè lavoro, in due giorni ho lavorato un’ora, era il duemila, tipo.
M’hanno portato in giro, cos’ho visto, i bar e un misto.
Moderna era moderna, ma restava qualche cosa che pensavi che era antica, e era pulita, ma aveva un che di vecchio, non nel fuori, come da noi, che da noi, fuori, va bene, ma dentro lustro, tutto nuovo, lì, non so se si capisce, lì anche dentro.
I bar, faccio un esempio, controsoffitti zero, specchi zero, e degli arredamenti ognuno fatto a modo suo, con la sua faccia, che ti veniva il dubbio che quei mobili, quella poltrona, lì, un po’ strappata, in alto, l’avevan presa vicino al cassonetto, era pulito, e andava bene, e era usato, non era nuovo, l’idolatria del nuovo, assente, ecco, forse era questo, il nuovo e il vecchio insieme.
Dopo non so. Continua a leggere »
venerdì 19 Settembre 2008
Martedì 10 febbraio,
alle ore 18 e 30 circa
a Bologna,
al teatro San Leonardo
in Via San Vitale 63/67
c’è una serata dentro una rassegna
che si chiama
Natura morta con autore
e succede questo:
Flavio De Marco mi ha chiesto
di portare tre oggetti
e di parlar di quelli.
Saranno un cappello,
un nuraghe,
e un registratore, credo.