sabato 5 Marzo 2016
La contessa Chotetov posò il suo sguardo sui suoi occhi puri, come lavati dalla neve, e vi lesse il dono arcano della predizione. Chiese di poter parlare con lui, ma neppure per lei si fece una deroga. Allora chiese che fosse consegnato a Červev un importante quesito che aveva scritto affinché lui le rispondesse sempre per lettera, promettendo in cambio cento monete d’oro per ciascuna parola.
I fraticelli consegnarono quel messaggio a Červev ed egli, che non aveva più scritto una riga dal giorno dei suo esilio, prese tosto una matita e, senza leggere la domanda, vergò la risposta: «Agisci come credi, te ne pentirai comunque».
La sua tomba è tutt’oggi integra. Su di essa è piantata una croce con la scritta: «Mefodij Červev». Volevano aggiungervi «servo di Dio», ma poi si ricordarono che era un vagabondo e che c’era qualcosa di ignoto nella sua storia, e non lo scrissero.
[Nikolaj Leskov, Una famiglia decaduta, traduzione di Flavia Sigona, Roma, Fazi 2016, p. 282]
mercoledì 2 Marzo 2016
[Contemporaneamente a Tre giusti, che è una raccolta di racconti di Leskov che ho curato io per Marcos y Marcos, è uscita in libreria la nuova edizione di una traduzione di un romanzo di Leskov che era uscita nel 1996: Una famiglia decaduta. La sto leggendo, e a me, per il mio gusto, di Leskov, preferisco i racconti, però ci sono delle parti e dei personaggi che mi piacciono molto, come il soldato ucraino Petro Grajvorona]
“Sei ucraino, vero?”.
“Sissignora”, dice, “vostra signoria: sono ucraino”.
“E perché… per quale motivo eri tanto affezionato a mio marito?”.
“Ma no”, dice, “vostra signoria, non gli ero tanto affezionato”.
«Che tonto, proprio un povero ucraino senza cervello» esclamava in genere Ol’ga Fedotovna ridendo e interrompendo il suo racconto, «aveva servito nell’esercito, però non aveva imparato a essere furbo e capire cosa si può dire e cosa no, tutto quello che pensava lo sputava fuori!
La principessa si degna di continuare:
“Ma come sarebbe: se non gli eri particolarmente affezionato”, dice, “allora perché non sei scappato quando era ormai chiaro che era morto, mentre tutti gli altri l’avevano abbandonato?”.
“Era il capitano”, fa lui, “vostra signoria: il capitano non lo puoi abbandonare, hai giurato apposta sulla croce”.
Alla principessa piacevano quella sua rozzezza e sincerità: lei fa sì col capo e gli dice con voce dolce:
“Ah, è così che sei, dunque! È giusto e onesto quello che dici”.
Lui risponde brusco com’è nelle sue maniere.
“Sissignora, vostra signoria!” e ogni volta che risponde grida e si raddrizza sempre di più, e se ne sta impalato come tutti i militari, una gamba stretta all’altra tanto da far scricchiolare il cuoio dei calzoni.
La principessa si degna di ringraziarlo.
“Comunque sia”, dice, “sei stato gentile a venire fin qui”.
“Ma no”, risponde quello, “non osavo disubbidire”.
“Perché non osavi disubbidirmi?”.
“Voi siete la capitana, vostra signoria”, dice.
“Ah”, risponde la principessa, “sta bene!”, e sorride: “Allora, vuol dire che dopo la morte di mio marito passi ai miei ordini?”.
“Sissignora, vostra signoria”.
“Allora rispondi alla tua capitana: hai una famiglia o un parentado molto numeroso?”.
“Nossignora”, dice, “non mi è rimasta né famiglia né parentado: sono andato soldato proprio perché ero orfano”.
“Ebbene, nominami delle brave persone che vorresti aiutare in qualche modo per la loro bontà”.
“Non me la faccio con le brave persone, io”, fa, “vostra signoria”.
La principessa si meraviglia e dice:
“Com’è possibile che in tutta la tua vita non hai mai incontrato una persona buona?”.
“Nossignora”, dice, “non ne ho incontrata nessuna”.
“Ma è possibile”, dice, “che neanche nell’esercito avessi un commilitone cui eri più legato?”.
“Nossignora”, risponde quello, “neanche uno: nell’esercito mi prendevano tutti in giro e mi chiamavano ‘sporco ucraino'”.
“Ma almeno questi tuoi ucraini quando eri al paese ti volevano bene?”.
“Nossignora, vostra signoria, quando sono tornato al paese hanno cominciato a chiamarmi ‘sporco russo’ e mi hanno cacciato”.
“Perché ti hanno cacciato?”.
“Così, dicevano: vattene via, non vogliamo avere qui il tuo muso di moscovita”.
“E dove sei andato?”.
“Da Ignat il cieco”.
“Dunque, questo Ignat il cieco è un uomo buono?”.
“Nossignora, vostra signoria, è una vera carogna: mi ha fatto ubriacare e poi voleva accecarmi con l’acqua bollente così che potevamo andare insieme a cantare, due ciechi insieme, e guadagnare di più. Solo Iddio mi ha salvato, perché io allora mi sono svegliato e l’ho picchiato”.
[Nikolaj Leskov, Una famiglia decaduta, traduzione di Flavia Sigona, Roma, Fazi 2016, pp. 32-34]