Infilare pantofole di pezza agli scrivani

mercoledì 5 Aprile 2017

Flannery O'Connor, Nel territorio del diavolo

Una signora che scrive, e che io ammiro moltissimo, mi disse in una lettera di aver imparato da Flaubert che per rendere reale un oggetto occorrono almeno tre tocchi dei sensi attivi; e ritiene che ciò dia da collegare al fatto che abbiamo cinque sensi. Se ne viene a mancare uno si è ridotti male, ma se ne vengono a mancare più di due allo stesso tempo, è un po’ come non esserci. Non c’è frase di Madame Bovary che, esaminata, non desti meraviglia, ma ce n’è una in particolare davanti alle quale mi fermo ammirata. Flaubert ci ha appena mostrato Emma al piano, con Charles che la guarda. Dice:

Batteva sui tasti con disinvoltura percorrendo senza posa la tastiera, da un’estremità all’altra. Così scosso, il vecchio strumento, con le corde che vibravano, si faceva sentire fino in fondo al paese quando la finestra era aperta, e spesso lo scrivano del balivo, passando per la via principale, a capo scoperto e in pantofole di pezza, si fermava in ascolto, il foglio di carta tra le mani.

Più si guarda una frase come questa e più c’è da imparare. A un estremo siamo con Emma e questo tangibilissimo strumento “con le corde che vibravano”, e all’altro siamo in fondo al paese con questo concretissimo scrivano in pantofole di pezza. Considerando quanto accade a Emma nel resto del romanzo, potremmo pensare che non faccia alcune differenza se lo strumento ha corde vibranti o lo scrivano è in pantofole di pezza e ha un foglio di carta tra le mani, ma Flaubert doveva creare un paese credibile dove collocare Emma. Non va mai dimenticato che cura immediata dello scrittore di narrativa non sono tanto idee grandiose e emozioni tumultuose, quanto infilare pantofole di pezza agli scrivani.

[Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, a cura di Ottavio Fatica, Roma, minimum fax 2002, p. 45-46]

Dal profilo Wikpiedia di Flannery O’Connor

sabato 14 Gennaio 2017

All’età di sei anni, Flannery insegnò a un pollo a camminare all’indietro e fu la prima occasione di celebrità. Gli inviati della rivista Pathè News filmarono la piccola “Mary O’Connor” con il suo pollo e quelle immagini fecero il giro del paese. Flannery disse in seguito: «C’ero anch’io con il pollo. Ero là solo per assisterlo, ma fu il momento culminante della mia vita. Tutto quello che è accaduto dopo, è stata solo una anticlimax».

Chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia

lunedì 11 Aprile 2016

Flannery O'Connor, Nel territorio del diavolo

Qualsiasi disciplina può aiutarvi a scrivere: la logica, la matematica, la teologia, e senz’altro e in special modo il disegno. Qualsiasi cosa vi aiuti a vedere, qualsiasi cosa vi induca a guardare. Lo scrittore non dovrebbe mai vergognarsi di guardare fisso le cose. Non c’è nulla che non richieda la sua attenzione.
Oggigiorno si levano alti lamenti per il fatto che gli scrittori si siano tutti ritirati nei college e nelle università, dove vivono in modo decoroso, invece di andare in giro a procurarsi informazioni di prima mano sulla vita. In realtà, chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni sula vita per il resto dei propri giorni. Se non riuscite a cavare qualcosa da un’esperienza ridotta, probabilmente non vi riuscirà neanche da una più vasta.

[Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, a cura di Ottavio Fatica, Roma, minimum fax 2002, p. 58]

Nei cieli

venerdì 14 Gennaio 2011

“All’inferno,” disse, cauto.
Poi, un minuto dopo, disse ancora: “All’inferno.”.
Poi lo ripeté nel modo in cui lo diceva Hane, strascicando le sillabe e cercando di dare ai proprio occhi l’espressione che avevano quelli di Hane quando lo diceva. Una volta Hane aveva detto: “Dio santo!”, e sua madre l’aveva rincorso e gli aveva detto: “Non voglio mai più sentirti imprecare così. Non pronuncerai il nome del Signore Dio Tuo invano. Hai capito?”, e con quello Hane si era zittito, se ricordava bene. Ah! Quella volta l’aveva proprio zittitio, sua madre, se ricordava bene.
“Dio santo,” disse.
Guardò deliberatamente per terra, e si mise a disegnare cerchi nella polvere col dito. “Dio santo!”, ripeté.
“Maledizione,” disse piano. Sentiva il calore salirgli alla faccia e il cuore battergli forte dentro il petto, tutt’a un tratto.” Al diavolo e all’inferno,” disse con voce quasi impercettibile. Si guardò alle spalle, ma non c’era nessuno.
“Al diavolo e all’inferno, Signore Iddio di Gerusalemme,” disse. Suo zio diceva sempre: “Signore Iddio di Gerusalemme.”
“Signore, Dio mio,” disse, “manda via i polli dall’aia”, disse, e cominciò a ridacchiare. Aveva la faccia molto rossa. Si alzò a sedere e si guardò le caviglia bianche che spuntavano dalle gambe dei pantaloni e finivano dentro le scarpe. Gli sembrava che non gli appartenessero. Strinse una mano intorno a ciascuna caviglia, piegò le ginocchia e appoggiò il mento sopra una di esse. “Padre nostro che sei nei cieli, non strapparmi tutti i peli,” disse, ricominciando a ridacchiare. Ragazzi, che sberle, se sua madre l’avesse sentito. Dio santo, gli avrebbe proprio rotto la testa.

[Flannery O’Connor, Il tacchino, in Tutti i racconti, tr. di Marisa Caramella, Milano, Bompiani 2009, pp. 52-53]

Abbastanza

domenica 1 Marzo 2009

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Ovunque vada mi chiedono se, secondo me, le università soffocano gli scrittori. Il mio parere è che non ne soffocano abbastanza. Con un buon insegnante diversi best seller si sarebbero potuti prevenire. L’idea di fare lo scrittore alletta un bel po’ di inconcludenti, coloro che sono solo gravati da sentimenti poetici o afflitti da sensibilità. /…/ Per conto mio ritengo che certe persone vadano soffocate con tutta la rapidità del caso.

[Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo, cit., pp. 58, 59]

Misteri

domenica 23 Novembre 2008


Uno degli spettacoli più comuni e tristi è vedere una persona di fine sensibilità e acume psicologico indiscutibili che tenta di scrivere narrativa usando solo tali qualità. Questo tipo di scrittore infilerà l’una dopo l’altra frasi intensamente emotive o acutamente percettive con risultati di assoluta piattezza. Il fatto è che i materiali dello scrittore di narrativa sono i più umili. La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo fatti di polvere, dunque se disdegnate di impolverarvi non dovreste tentare di scrivere narrativa. Non è cosa abbastanza nobile per voi.
Ora, quando lo scrittore di narrativa si caccia finalmente in testa quest’idea, adattandovi le proprie abitudini, comincia a capire che razza di sfacchinata sia il mestiere che si è scelto.
(Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, 1962, ed. it. a cura di Ottavio Fatica, Roma, minimum fax, 2002, p. 45).

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martedì 4 Novembre 2008


Si è accennato nei commenti a un pezzo che è uscito un po’ di tempo fa sul manifesto e che tratta del romanzo Colpi al cuore, di Kari Hotakainen, e del romanzo Come Dio comanda, di Niccolò Ammaniti.
Lo metto qua sotto (è un po’ lungo).

Mi sembra che il modo migliore per dare un’idea del romanzo Colpi al cuore, sottotitolo Come fu girato il padrino, del finlandese Kari Hotakainen (Iperborea 2006, pp. 353, euro 16, tr. it. Tullia Baldassarri Höger Von Högersthal), che ho letto recentemente, sia paragonare le metafore e le similitudini usate da Hotakainen con quelle usate da Niccolò Ammanniti nel suo Come Dio Comanda, (Mondadori 2006, pp. 496, euro 19), che ho letto subito dopo. Fare proprio due elenchi.
In Ammaniti: “Cristiano Zena aprì la bocca e si aggrappò al materasso come se sotto ai piedi gli si fosse spalancata una voragine” (p. 7). “Ci fu uno scoppio assordante, e la zuppiera si disintegrò come se fosse stata colpita da un Cruise e rigatoni, schizzi di ragù e pezzi di plastica si sparsero per un raggio di dieci metri” (p. 102). Continua a leggere »