Una persona e una bicicletta

domenica 9 Luglio 2017

Sei nato a Parma ma vivi a Bologna da tanti anni. C’è un modo parmigiano e bolognese di intendere la bicicletta o la via Emilia in comune azzera le differenze restituendo una “emilianità” della bicicletta?

Forse mi sbaglio, ma Parma mi sembra un po’ più adatta, alle biciclette, di Bologna, probabilmente anche per via del fatto che è un po’ più pianeggiante; l’unica città in cui son stato (a parte Amsterdam) dove la bici mi è sembrata più presente che a Parma è Ferrara; anche a Parigi, negli ultimi anni, mi ha sorpreso il numero di biciclette, nonostante io sia un po’ abituato, alle bici, perché vengo da un posto, Parma, appunto, dove alla bici, da decenni, si dà del tu, in un certo senso.
Mia nonna, per dire, fin da vecchia, è andata a far la spesa in bici, e quando è morta (aveva ottantun anni), è morta per un attacco di cuore dalla pettinatrice, nel centro del paese dove abitava, in provincia di Parma, e ci era andata con la sua bicicletta, come sempre.
Zavattini, in Un paese, nel 1950, fa dire al meccanico da biciclette di Luzzara che, da loro, non si usano i lucchetti, per le biciclette, nessuno chiude la sua bici perché tutti sanno di chi è quella determinata bici, è come se anche la bici avesse la faccia del suo padrone.
E, da un’altra parte, dice che, sempre a Luzzara, in Emilia, in provincia di Reggio, uno non viene considerato vecchio finché è capace di alzare la gamba sopra al sellino, che mi sembra un bel modo di misurare l’età della gente.

La bicicletta ha avuto un qualche ruolo nella tua infanzia e giovinezza?

Imparare a andare in bicicletta è stato un po’ uno di quei riti di passaggio che dividono, forse, l’infanzia dalla giovinezza. Mi ricordo quando volevo imparare a andare senza mani, giù per una discesa, mi ricordo che cadevo e che l’asfalto era duro e che mi sembrava impossibile, andare senza mani.
E mi ricordo, io abito a Casalecchio di Reno, ma attaccato a Bologna, alla Croce di Casalecchio, in cima a una piccola salita, e, non ero più giovane, ma mi ricordo i primi tempi che abitavo qui, quando, al mattino, mi buttavo giù dalla salita, mi sembrava che la città mi venisse incontro, e succede ancora così, quasi tutti i giorni. E mi ricordo quand’ero un ragazzo, a Parma, e vedevo passare le processioni dei funerali, e ciascuno portava a mano la propria bicicletta, una persona e una bicicletta, una persona e una bicicletta.

C’è una bici che ricordi in particolare…

A pensarci, no. Per me la bici è proprio un po’ un mezzo di trasporto, come l’autobus, o la metropolitana, e non c’è un autobus, o una carrozza della metropolitana a cui sono particolarmente affezionato; la bici, per me, è come se non fosse mia, è un mezzo pubblico, nella mia testa.

C’è un ricordo legato alla bicicletta che vorresti condividere?

Due: il gelataio con la bicicletta che veniva, quand’ero piccolo, a portare i gelati nella nostra casa di campagna, a Basilicanova. Aveva un gelato alla banana che non avevo mai mangiato, e la sua bici frigorifero mi sembrava bellissima. E con mia figlia, una volta, lei aveva forse otto o nove anni, e era sul seggiolino dietro, e una volta si è alzata appena sulle gambe, in modo da riuscire a vedere sopra la mia testa quel tratto di via Saragozza dove comincia la discesa del Meloncello, a Bologna, quei pezzetti lì in bicicletta che senti l’aria in faccia e intanto diceva «Oh, che bel mondo, che bel mondo», e io, mi ricordo, ho pensato “Hai ragione”. Continua a leggere »