Un fenomeno

mercoledì 23 Ottobre 2019

Sì, noi crediamo che la nazione russa sia un fenomeno straordinario nella storia dell’umanità intera. Il carattere del popolo russo è così dissimile dai caratteri di tutti i popoli europei contemporanei, che gli europei fino ad oggi non lo capiscono e, quel che capiscono, è il contrario della realtà.

[Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Teksty i risunki (Testi e disegni), Mosca, Russkij jazyk 1989, p. 25]

Che tipo è

lunedì 7 Ottobre 2019

È già un po’ che le volevo chiedere: non conosce per caso Lev Tolstoj? Di persona? Se lo conosce, mi scrive, per favore, che tipo è? Di lui ho sentito dire molto poco, su com’è.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, lettera a Strachov del 28.5.1870, in Dostoevskij bez gljanca (Dostoevskij senza orpelli), Moskva, Pal’mira 2018, p. 305]

Questa scatola

lunedì 17 Luglio 2017

[cliccare sull’immagine per ingrandire]

Una scritta

domenica 16 Luglio 2017

Siamo stati al Museo Dostoevskij, che è nell’ultimo appartamento in cui ha vissuto Dostoevskij a San Pietroburgo, e su una scatola di tabacco abbiamo visto scritto: «28 го января 1881 год: умер папа (Che significa: «28 gennaio 1881: è morto il babbo»). L’aveva scritto la figlia Ljubov’, che aveva allora 11 anni.

Una frase semplice

domenica 16 Luglio 2017

Molti anni dopo la morte di Dostoevskij, il giovane compositore S. Prokov’ev, che stava scrivendo un’opera sul romanzo Il giocatore, si era rivolto a Anna Grigor’evna. Al momento di salutarsi, dopo averla ringraziata per l’aiuto, S. Prokof’ev aveva chiesto alla moglie dello scrittore di lasciare qualche parola nel suo album. Prokof’ev aveva avvisato Anna Grigor’evna che era un album originale, e che ci si potevano scrivere solo cose che avevano a che fare col sole.
Anna Grigor’evna aveva preso la penna e, dopo averci pensato, aveva scritto:
– Fëdor Dostoevskij è il sole della mia vita. Anna Dostoevskaja.

[Evgenija Saruchanjan, Dovtoevskij v Peterburge, Leningrad, Lenizdat 1970, p. 60]

Chiamiamola Anja

giovedì 13 Luglio 2017

L’8 novembre del 1866, quando Anna Grigor’evna era andata ancora da Dostoevskij a lavorare, lui le aveva detto che gli era venuto in mente un romanzo nuovo, ma che non era sicuro e voleva il suo consiglio. «Io ero così orgogliosa di poterlo aiutare», scrive nelle sue memorie Anna Grigor’evna.
– Chi è il protagonista del suo romanzo?
– Un artista, un uomo non più giovane, della mia età. /…/
Per il suo eroe Fedor Michajlovič non aveva risparmiato i colori forti: era un uomo invecchiato precocemente, un malato incurabile, tetro, sospettoso, con un buon cuore, a dire il vero, ma incapace di esprimere i propri sentimenti, un arista forse di talento, ma sfortunato, che non era mai riuscito a incarnare le proprie idee nella forma che sognava da sempre…
– E poi, – aveva continuato Dostoevskij, – in questo momento decisivo della sua vita l’artista incontra una donna giovane, della sua età, più o meno, forse un anno o due di più. Chiamiamola Anja, solo per non chiamarla la protagonista. È un bel nome… È possibile che una donna giovane, così diversa per carattere e per abitudini, possa innamorarsi del mio artista? Non sarebbe, psicologicamente, inverosimile? Era questo, che volevo chiederle.
– Ma perché dovrebbe essere inverosimile. Se, come dice lei, la sua Anja non è solo una civetta, ma ha un cuore buono, sensibile, perché non dovrebbe innamorarsi del suo artista? Perché è malato e povero? Come se ci si potesse innamorare solo per l’aspetto esteriore e per la ricchezza…
Lui taceva, come se dubitasse di qualcosa.
– Si metta per un attimo nei panni di lei, – aveva detto con la voce che un po’ gli tremava, – Si immagini che questo artista, io, per esempio, si immagini che io le confessi che la amo e le chieda di essere mia moglie. Mi dica, cosa mi risponderebbe lei?
– Io le risponderei che la amo anch’io e che la amerò sempre. – aveva detto Anna Grigor’evna.
Alla vigilia del matrimonio F. M. Dostoevskij aveva trovato un nuovo appartamento sulla prospettiva Voznesenskij.

[Evgenija Saruchanjan, Dovtoevskij v Peterburge, Leningrad, Lenizdat 1970, p. 60]

Una risposta

mercoledì 8 Aprile 2015

M’è tornato in mente un articolo di Toporov dove Toporov racconta che in Delitto e castigo la parola «vdrug» (improvvisamente) compare 560 volte in 422 pagine. Allora, per via probabilmente del fatto che sono egocentrico, mi è venuto da chiedermi qual è la parola che compare di più nei libri che ho scritto io. E mi è venuto da rispondermi che non lo so.

Straniamenti

lunedì 14 Ottobre 2013

L'idiota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

era salito un giorno sul patibolo e gli era stata letta la condanna a morte: doveva essere fucilato, per un delitto politico. Venti minuti dopo, arrivò la sentenza di grazia, cioè la commutazione della pena. Tuttavia, nei venti minuti, o per lo meno, nel quarto d’ora trascorso tra una lettura e l’altra, egli aveva vissuto con la persuasione di dover essere giustiziato fra pochi minuti. Mi interessava molto ascoltarlo parlare quando si ricordava delle impressioni di quei momenti, e più volte mi feci ripetere la narrazione, rivolgendogli domande su domande. Si ricordava di tutto con una straordinaria chiarezza, e assicurava che non avrebbe mai dimenticato neppure i più minuti particolari di quell’ora. A circa venti passi dal patibolo circondato dai soldati e dal popolo, erano conficcati in terra tre pali, giacché dovevano essere giustiziati in parecchi. I tre primi furono condotti presso i pali, legati, vestiti di abiti mortuari (lunghi camici bianchi); calzarono loro fin sugli occhi dei berretti pure bianchi, perché non vedessero le canne dei fucili; poi, di fronte ad ogni palo, si schierò un drappello di soldati. Il mio conoscente era l’ottavo della fila, quindi gli sarebbe toccato recarsi al palo al terzo turno. Il prete presentò la croce a ciascuno dei condannati. Gli rimanevano, quindi, cinque, non più di cinque minuti di vita. E secondo lui, quei cinque minuti gli sembravano uno spazio di tempo infinito, un immenso tesoro; credeva di dovere vivere, in quei cinque minuti, tante vite, che fece persino delle disposizioni; calcolò il tempo che gli occorreva per dare l’ultimo addio ai suoi compagni e vi assegnò due minuti, altri due minuti li destinò alle proprie meditazioni intime, e un minuto lo destinò per ben guardarsi un’ultima volta intorno. Si ricordava benissimo di avere diviso proprio in quel modo il tempo che gli rimaneva da vivere. Moriva a ventisette anni, nel pieno rigoglio del suo vigore. Accomiatandosi dai compagni, ricordava di avere fatto a uno di questi una domanda che non aveva nulla a che vedere con quel momento e di essersi molto interessato alla risposta. POI, dopo avere salutato i compagni, giunsero i due minuti che aveva destinati alle meditazioni intime; sapeva anticipatamente a che cosa avrebbe pensato: voleva immaginarsi, nel modo più chiaro possibile, quello che doveva succedere: adesso esisteva, viveva, e di lì a tre minuti sarebbe stato un non so che, un qualche cosa, ma che cosa dunque? E dove? Tutto ciò intendeva risolvere in due minuti! Poco lontano di là sorgeva una chiesa, e la cupola, ricoperta di un tetto dorato, scintillava al sole. Si ricordava di avere fissato ostinatamente quel tetto e i raggi che vi risplendevano; non poteva staccare gli occhi da quei raggi, gli sembrava che fossero la sua nuova sostanza, e che, tre minuti dopo, egli si sarebbe in qualche modo amalgamato con essi… L’incertezza e il senso di ripulsione che provava di fronte a quell’ignoto che stava per cominciare, erano terribili; secondo lui, però la cosa più penosa in quel momento era questo continuo pensiero: ‘Se non dovessi morire! SE la vita potesse continuare, che eternità mi si aprirebbe innanzi! E tutto ciò sarebbe allor mio! Trasformerei ogni momento in un secolo, non perderei nulla, ogni istante sarebbe calcolato, non spenderei un attimo inutilmente!’ Diceva che questo pensiero si sera infine trasformato in una rabbia tale, che bravava persino di essere giustiziato al più presto».
Il principe tacque di colpo; tutti aspettavano ch’egli continuasse e traesse una conclusione .

[F. M. Dostoevskij, L’idiota, traduzione dal russo di Rinaldo Küfferle, Milano, Garzanti 1983 (7), pp. 74-75 ]

Ridicolo

lunedì 17 Settembre 2012

Io sono un uomo ridicolo. Adesso poi dicono che sono un matto. Sarebbe come una specie di promozione, se non fosse che io, per loro, resto sempre ridicolo, come prima.
Ma adesso oramai non mi arrabbio più, adesso voglio bene a tutti, anche quando ridono di me, anzi, quando ridono di me, chissà perché, gli voglio bene ancora di più. Riderei anch’io insieme a loro, non di me, ma solo perché gli voglio bene, se non fosse, per me, così triste, guardarli. Triste perché loro non sanno la verità, invece io la so.
Oh, com’è triste esser l’unico che sa la verità! Ma loro questo non lo capiscono. No, non lo capiscono.
Prima invece, mi rattristava molto il fatto di sembrare ridicolo.
Non di sembrarlo, di esserlo.
Sono sempre stato ridicolo, e ne son consapevole forse fin dalla nascita. Forse già a sette anni io sapevo di esser ridicolo. Poi ho studiato, a scuola, e poi all’università e che cosa è successo? Che più cose studiavo, più mi rendevo conto di esser ridicolo. Tanto che, per me, tutta la scienza universitaria è stato come se fosse esistita, alla fine, per dimostrarmi e chiarirmi, quanto più mi ci sprofondavo, che ero ridicolo. E così come nella scienza succedeva nella vita.
Ogni anno che passava cresceva e si rafforzava in me la coscienza stessa del mio aspetto ridicolo da tutti i punti di vista.
Di me ridevano tutti, sempre.
Ma nessuno di loro sapeva, nessuno aveva indovinato che, se c’era qualcuno, al mondo, che più di ogni altro era consapevole del fatto che io ero ridicolo, quel qualcuno ero io stesso, e questa era l’offesa più grande di tutte, per me, che loro non lo sapessero; ma la colpa era mia: sono sempre stato così orgoglioso, che per niente al mondo l’avrei confessato a qualcuno.
Questo orgoglio è cresciuto col passare degli anni, e se fosse successo che io, anche a uno solo, avessi confessato di sentirmi ridicolo, mi sembra che allora, quella sera stessa, mi sarei fatto saltar le cervella con una pistolettata.

[Fedor Michajlovič Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, 1877]

Sottosuolo (4)

venerdì 15 Giugno 2012

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