E buon Natale
Poco tempo fa ho ricominciato a andare in analisi, e siccome avevo paura di non saper cosa dire, all’analista, mi son messo a segnare, su un quadernetto, le cose che mi davano fastidio.
Io son venticinque anni, più o meno, che giro con un quaderno dove mi segno le cose, non solo quelle che mi danno fastidio, anche quelle che mi piacciono.
In queste ultime settimane giravo con due quaderni: uno dove segnavo le cose che mi davano fastidio, l’altro dove segnavo il resto. Avevo sempre in mano il primo, quello del fastidio.
Allora ho pensato, prima della fine dell’anno, di fare un breve elenco dei fastidi di queste ultime settimane, molti dei quali sono fastidi che mi porto dietro da decenni, e di provare a cercare degli strumenti per superarli.
L’elenco è questo:
Quando ti svegli, al mattino, e hai un atteggiamento come di uno che vuol perdere il treno.
Quando, al tuo computer, gli parte continuamente la ventola; gli parte e poi si ferma, gli parte e poi si ferma, gli parte e poi si ferma, e magari non è grave, però è imbarazzante, se c’è della gente intorno, e hai idea che lo cambierai per quello, per l’imbarazzo.
Quando finisci di mangiare e pensi “Devo lavare i piatti”.
Quando entri nello scompartimento di un treno e senti odore di tartaro e ti vien da pensare che c’è un sacco di gente che ha dei problemi dentali e non se ne preoccupa, tanto ci sei tu, che ti preoccupi per loro.
Quando la ventola del tuo computer smette di fare rumore, e ti preoccupi.
Quando vai in pizzeria, a Milano, e alla fine, hai voglia di una macedonia, ti accorgi che lì fanno solo pizze; non hanno dolci, non hanno insalate, non hanno antipasti, non hanno amari, solo pizze. E quando finisci di mangiare la proprietaria ti chiede «Vuole un’altra pizza?».
Quando vai all’università, un mercoledì, a Milano, poi nel tornare indietro ti fermi a Parma per andare allo stadio e all’ingresso un ragazzo ti perquisisce, vede che nello zaino hai il computer, chiama il suo responsabile il quale, saputo che nello zaino hai un computer ti dice «Non lo butti in campo».
Quando alla reception dell’albergo ti dicono «Dopo se vuole usare il wi-five, qui c’è la password».
Quando finisci di mangiare e poi pensi ‘Devo lavare i piatti’, poi ti ricordi che sei in albergo.
Quando sei in albergo e accendi la televisione e ci son due giornalisti e uno dice: «Io sono più intelligente di te», e l’altra risponde: «No, sono io più intelligente di te».
Quando ti sembra che parlino delle sardine quasi quanto, tanti anni fa, parlavano del popolo viola.
Quando hai un computer nuovo che, ogni tanto, inspiegabilmente si spegne.
Quando vai su un sito dove vendono libri e altre cose, e guardi le recensioni di Anna Karenina e trovi un’utente che si fa chiamare Celia che ha dato al libro due stelle, e che ha cominciato la sua recensione così: «Un romanzo dalle ottime potenzialità, a parer mio non adeguatamente sfruttate». E ti incuriosisce, questa Celia, e vai a vedere altre sue recensioni, non ce ne sono tante, ma qualcuna sì, e un prodotto un prodotto preso 5 stelle, il peluche di un pipistrello che Celia ha valutato così: «Peluche morbidissimo, esteticamente delizioso, e di elevata qualità, pienamente corrispondente all’immagine sul sito. Molto conveniente anche il prezzo, significativamente inferiore alla cifra indicata nella maggior parte dei negozi».
Quando, nel bagno di un treno che va a Firenze, ti insaponi le mani, schiacci il pulsante dell’acqua, l’acqua non scende e tu pensi “Lo sapevo”.
Quando, sei su un treno ad alta velocità in ritardo di 65 minuti, e distribuiscono gratis delle merendine, sul treno, con una logica ferroviaria che ti sfugge.
Quando hai l’impressione che il tuo analista abbia un’ottima opinione, di te, e “Si vede che non gliela racconto giusta”, ti vien da pensare.
Quando vai a Lucca Comics, con tua figlia, e piove, e hai l’impressione di non avere mai visto tanti ombrelli nella tua vita.
Quando ti mandi dei file per e-mail e ti scrivo, nel corpo del messaggio «Ciao», o «Buongiorno», così, per educazione e ti vien da pensare “Come sono educato”.
O quando, su una radio russa, senti che uno, a Mosca, è uscito dal cinema e ha detto all’amico che era andato al cinema con lui «È meglio il libro».
«Che libro?», gli ha chiesto il suo amico.
«Uno qualsiasi», ha risposto lui.
E ti vien da pensare che le mattine che non hai voglia di uscire, la cosa migliore da fare sia uscire, forse. E le mattine che non hai voglia di correre, la cosa migliore da fare sia correre, forse. E che le mattine che non hai voglia di scrivere, la cosa migliore da fare sia scrivere, forse. E che le mattine che non hai voglia di tradurre, la cosa migliore da fare sia tradurre, forse. Oppure no.
E ti torna in mente una delle prime interviste di Iosif Brodskij in America, quando dice che sotto il regime sovietico era come essere soggetti a una forza di gravità decuplicata, ogni parola e ogni gesto avevano ripercussioni enormi. E vivere in occidente, invece è come vivere sulla luna: si può saltare e fare capriole senza alcuno sforzo, ma non significa nulla, perché è esattamente quello che facevano tutti.
E sempre lui, Brodskij, quando dà un’intervista a Anne-Marie Brumm, che gli chiede «Potrebbe descriverci la sua filosofia di vita?», lui risponde che non è una filosofia di vita, «è solo una serie di espedienti. Se dovessi definirla una filosofia, allora direi che è una filosofia della sopportazione. È molto semplice. Quando sei in una brutta situazione, hai due modi di affrontarla: mollare tutto o cercare di resistere. Io cerco di resistere il più a lungo possibile. Ecco, la mia filosofia è questa: tutto qui, niente di speciale» (la traduzione è di Matteo Campagnoli).
E ti viene in mente anche un altro scrittore russo che si chiamava Venedikt Erofeev, e che si domandava se ci sarà poi, là, una bilancia, o non ci sarà. E che secondo lui su quella bilancia, se ci sarà, i sospiri e le lacrime peseranno più del calcolo e della premeditazione. E diceva che là, quelli come lui, poco seri, peseranno di più e vinceranno (grazie a Isabella Nenci per questa cosa). Ma forse no. Non lo sappiamo. Perché nelle nostre vite, qua, forse vale ancora quello che dice un filosofo danese che dice: «Sposati, te ne pentirai; non sposarti, te ne pentirai anche; sposati o non sposarti, ti pentirai d’entrambe le cose; o che ti sposi, o che non ti sposi, ti penti d’entrambe le cose. Ridi delle follie del mondo, te ne pentirai; piangi su di esse, te ne pentirai anche; ridi delle follie del mondo o piangi su di esse, ti pentirai d’entrambe le cose; o che tu rida delle follie del mondo o che pianga su di esse, ti penti d’entrambe le cose. Credi a una fanciulla, te ne pentirai; non crederle, te ne pentirai anche; credi a una fanciulla o non crederle, ti pentirai d’entrambe le cose; o che tu creda a una fanciulla o che non le creda, ti pentirai d’entrambe le cose. Impiccati, te ne pentirai; non impiccarti, te ne pentirai anche; impiccati o non impiccarti, ti pentirai d’entrambe le cose; o che t’impicchi o che non t’impicchi, ti pentirai d’entrambe le cose» (la traduzione è di Alessandro Cortese). E buon Natale. E buon anno.
[Uscito sabato sulla Verità]