mercoledì 25 Settembre 2013
Tre scrittori presero un quarto scrittore e per vendetta lo legarono a un palo. E lo lasciarono lì legato alla periferia di Milano.
[Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili, Milano, Feltrinelli 2002, p. 90]
venerdì 10 Maggio 2013
La lettura di Ermanno Cavazzoni dell’Eugenio Oneghin di Puškin, nella traduzione di Ettore Lo Gatto, fatta al circolo dei lettori di Torino il 5 febbraio del 2013 dentro la rassegna Gli inabbracciabili: Clic.
domenica 1 Luglio 2012
[Metto qua sotto un pezzo di Francesco Borgonovo che è uscito ieri sul foglio]
Ci vorrebbe che Gulliver s’imbarcasse su una chiatta e si facesse trasportare dalle acque del Po, s’intrufolasse nelle vie d’acqua padane, pescando ogni tanto dal Grande Fiume una bottiglia. Ce ne sono tante, spinte dalla corrente, e contengono tutte strampalati messaggi. «E’ frequente però nelle pianure, mi hanno detto, trovare nei pozzi lettere, biglietti, lettere minatorie o scarabocchi tappati dentro a una bottiglia», scriveva Ermanno Cavazzoni, strambo Erodoto di quelle zone. «Questo fenomeno non si sa spiegare; anzi in molti credono che l’acqua dei pozzi sia comunicante nel sottosuolo, e che qui in pianura si sentono dai pozzi spesso venire voci o lamenti, e ci si sente a volte chiamare per nome».
Dalle bottiglie possono spuntare i disegni che Federico Fellini inviava al Marc’Aurelio; i raccontini che Giovannino Guareschi annusava sulla carta la mattina, dopo notti senza dormire trascorse fumando sigarette, fino a incidersi la faccia slavata d’occhiaie profonde. Sono bottiglie in balìa della corrente le buste gialle e sottili che Maurizio Milani imbuca da Codogno, immaginando che arrivino in chissà quali città lontane, e chissà se arriveranno mai, dunque meglio spedirle in duplice o triplice copia. Stesso incerto destino avevano le opere del filosofo Learco Pignagnoli, la cui biografia recita: «Nato a Campogalliano e a San Giovanni in Persiceto. Lavora presso la ditta Scoppiabigi & Figli, dove tiene dietro al loro lupo».
Se Gulliver aprisse una di quelle bottiglie gettate nei pozzi e trascinate poi nel fiume, penserebbe che le ha scritte qualche matto dei dintorni, gli parrebbero sconclusionate e magari comiche, ma di una comicità che a lungo andare ti fa venire il magone. Seguendo la traccia delle bottiglie s’imbatterebbe allora nella popolazione dei Lunatici, che vive di soppiatto nelle terre da Lodi a Bologna, con qualche enclave in Romagna e poche altre colonie sparse nel resto della Penisola. Più o meno, i territori esplorati da Gianni Celati – talvolta in compagnia del fotografo Luigi Ghirri – e raccontati in Verso la foce: «Nella pianura stradale a scacchiera si intersecano tutti dritti per trenta o quaranta chilometri, sentieri su e giù dagli argini dei canali che costeggiamo, ed è sempre come essere in una piega della terra. Zone così piatte e uniformi che tutto compare ad altezza d’occhi senza orizzonte, si sente nostalgia d’un punto un po’ sopraelevato per guardarsi intorno». Continua a leggere »
domenica 9 Ottobre 2011
Domenica 9 ottobre,
a Gualtieri (RE),
a palazzo Bentivoglio,
salone dei Giganti,
alle 17,
Daniele Benati,
Ermanno Cavazzoni,
Ugo Cornia
e Paolo Nori
leggono Raffaello Baldini.
martedì 4 Ottobre 2011
Ermanno Cavazzoni al festival filosofia, clic
venerdì 29 Aprile 2011
Venerdì 29 aprile,
a Bologna,
alle ore 20,
all’Auditorium dei Laboratori DMS
(Dipartimento di Musica e Spettacolo
dell’Università di Bologna),
in via Azzo Gardino 65/a,
Narratori di Pianura e da Bar
con Gianni Celati, Paolo Nori, Simona Vinci,
Ermanno Cavazzoni, Cristiano Cavina, Eraldo Baldini
un film in due parti di
Francesco Conversano e Nene Grignaffini
giovedì 21 Aprile 2011
L’uomo è quell’essere senza piume a due gambe (diceva Platone), e i cinici gli hanno portato un pollo spennato. «È questo l’uiomo?» Allora Platone mutò definizione.
[Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici, Parma, Guanda 2011, p. 159]
lunedì 28 Marzo 2011
Paolo Nori al convegno del 9 febbraio 2004 (e in quello del 20 settembre 2003 e del 3 aprile 2004) ha cantato con molta precisione la canzone che piaceva a Learco Pignagnoli, la quale dice: A chi / sorriderò se non a te. / A chi / se tu, tu non sei più qui. / Ormai e’ finita, / e’ finita, tra di noi. / Ma forse un po’ della mia vita / e’ rimasta negli occhi tuoi. / A chi / io parlerò, se non a te. / A chi / racconterò tutti i sogni miei. / Lo sai m’ hai fatto male / lasciandomi solo così, / ma non importa, io ti aspetterò. / A chi / io parlerò se non a te. / A chi / racconterò tutti i sogni miei. / Lo sai m’ hai fatto male / lasciandomi solo così, / ma non importa, io ti aspetterò. Non essendo abituale il canto ai convegni, l’intervento impavido di Paolo Nori è stato accolto dal pubblico con soddisfazione, anche se il moderatore Alberto Manfredini detto El Gaucho, divorato dalla fretta e dall’ansia di moderare, avrebbe a suo dire voluto evitare la ripetizione integrale del ritornello: a chi / io parlerò se non a te. Nello stesso convegno tuttavia, mosso da rigore scientifico documentario e non intimidito da Paolo Nori, il valente studioso di storia russa e italiana Marco Raffaini, ha sostenuto che Pignagnoli prediligeva in realtà un’altra canzone, che ha cantato come qui di seguito è stata trascritta (dalla registrazione): Continua a leggere »
sabato 19 Settembre 2009
Ermanno Cavazzoni, nato nel 1947 a Reggio Emilia, vive a Bologna dove insegna all’Università. Ha scritto libri di narrativa, ma sempre piuttosto anormali, che infatti lui stesso non sa come classificare, se non come sfoghi di maniacalità. «Mi vengono così – dice – dovete scusare».
Ha scritto Il poema dei lunatici (1987, dal quale Federico Fellini ha tratto il suo ultimo film La voce della luna), Le tentazioni di Girolamo (1991), Vite brevi di idioti (1994), Cirenaica (1999), Gli scrittori inutili (2002), Storia naturale dei giganti (2007), e altre cose qui e là, tra cui Morti fortunati (2002). Quel po’ che ha imparato dice che l’ha imparato da Federico Fellini e da Gianni Celati, «lavorando con loro a bottega». Poi per il resto la vita passa tra tante illusioni; uno guarda indietro e dice: si vede che la mia vita era questa, si vede che comprendeva a un certo punto anche dei libri.
domenica 10 Maggio 2009
C’è da stupirsi che ogni tanto qualcuno incendi o sogni di incendiare le biblioteche? Io credo sia naturale, una fantasia quasi inevitabile per ogni incendiario o aspirante incendiario. E non solo perché la biblioteca è di carta infiammabile. Non è l’infiammabilità facile che l’incendiario cerca; altrimenti opterebbe per incendiare dolosamente un deposito di gas metano, una pompa di benzina, un serbatoio di nafta, o la boccetta dell’alcol denaturato, che però per gli incendiari è manifestamente cosa da grulli, un cedimento alle pulsioni inferiori, al facile, all’ovvio, alla banalità. Incendiare un bosco, un fienile, un palazzo: puro spettacolo senza costrutto, col sospetto del camorristico. L’incendiario non è un dispettoso, o un vendicativo, o un anarchico, anche se ce ne sono di simili, ma, poveretti!, sono degli istintivi, o degli edonisti, che cercano la fiamma, come un frivolo cerca la festa. L’incendiario, l’incendiario ispirato, colto e idealista, nella sua essenza è un metafisico, che si dibatte fra l’essere e il nulla, perciò agogna la biblioteca, bruciare le anime (la carta è solo il comburente); far cessare questi luoghi di innaturale, prolungata sopravvivenza.
[Ermanno Cavazzoni, in Tèchne, 18, Udine, Campanotto 2009, pp. 66-67]