Sta per uscire

lunedì 30 Settembre 2019

Sta per uscire per Sempremai Essere nudi e basta è troppo dura, romanzo d’esordio di Elvira Antinozzi, qui sopra la sua nota biografica.

Quello grasso

mercoledì 15 Maggio 2019

E avanti così, in generale, era tutta una miniera: chi tra i bambini alla dottrina diceva che il Padre era così contento per il ritorno del figliol prodigo che per far festa aveva ucciso il fratello grasso, chi diceva di ‘fare a gara nello sterminarsi a vicenda’, chi sceglieva forse meglio lo stimarsi ma solo ‘a Vicenza’, chi pregava a voce alta molto seriamente “perché regni la guerra e cessi la pace”, chi leggeva dalla 1° lettera di san Paolo apostolo ai Tessalo-Cinesi. E via dicendo.

[Elvira Antinozzi, Essere nudi e basta è troppo dura, esce in settembre per Sempremai]

Come piegava le gambe

mercoledì 3 Aprile 2019

C’era una che diceva di essere la maestra di nuoto della regina di Svezia e, durante i pranzi, si spogliava e si metteva a nuotare con un costume rosso, davanti a tutti, per mostrare la sua arte.

Una era molto devota. Si innamorava di tutti e andava in giro a dire ai bambini “tua mamma è morta”.

Uno con le gambe grasse, le unghie lunghe e un berrettino scozzese tuttonastri aveva fama di essere ‘un eccellente cacciatore’ anche se il fucile non lo sapeva usare e gli partivano i colpi senza volere.

Uno aveva invitato un amico a casa e pensava: “con lui mi prodigherò in gentilezze, mi è così simpatico” poi quando l’amico era arrivato gli aveva detto: “perché sei venuto? non ti vogliamo qui, non ci puoi stare”.

Quello di prima era geloso geloso della moglie, con tanto di scenate.
Una sera aveva anche cacciato un ospite da casa.
E alla moglie che chiedeva di cosa fosse poi geloso lui, per esempio, rispondeva: “ma te ti sembra un modo, quello lì, in casa nostra, ma gli hai visto le gambe, come le piegava?”

Uno aveva scritto un libro che s’intitolava: “Saggio per un’analisi delle basi e delle forme statali in Europa e in Russia”. Faceva fatica a trovare una ragazza, anche perché non si metteva mai con le donne che parlavano di funghi. Poi ne aveva trovata una che insieme stavan bene, solo che poi lei, un giorno, ha detto: ‘fungo!’

[Repertorio dei matti di Anna Karenina, di Elvira Antinozzi]

Credo / ho paura

mercoledì 13 Marzo 2019

Io credo a tutti, e prendo delle gran tranvate,
ma poi, dopo, gli credo di nuovo.
Credo nei gregari che si fanno un culo come un paiolo e non li nota nessuno.
Credo nelle benedizioni,
nelle rifiniture
e nelle ripetizioni,
nei profumi, un po’,
e in certe canzoni.
Credo in Elia, quando mi punta il dito e dice ‘non dire pifferate zia!’
E io, lui, vederlo, credo che forse è vero, che sono tutti contati,
i capelli del nostro capo.
Credo che mi voglia ancora bene, il mio sposo, ma forse, forse mi illudo.

Ho paura delle bisce (come la mamma di Bazarov),
ho paura di scottarmi al mare,
di dire quello che penso,
ho paurissima, io, dell’intimità,
e un po’ dei ladri, perché sono venuti.
Ho paura quando vedo il sangue, mi sento di svenire.
Ho tanta paura di avere un semino cattivo dentro
e che cresca cresca cresca e tutti vedano come sono io davvero.
Ho paura del giorno del giudizio,
quando mi verrà detto: ho avuto fame, e non mi hai dato da mangiare.
La trippa non la posso vedere, mi fa impressione.
Perché una volta da piccola ho aperto una pentola sul fornello, e dentro c’era una cosa spaventosa, sembrava una malattia in ebollizione.

[Elvira Antinozzi, Raccontate le cose in cui credete e le cose di cui avete paura, Scuola media inferiore di Anna Karenina, Bologna]

Che bolliva

mercoledì 13 Marzo 2019

E alla scuola media inferiore di Anna Karenina, a Bologna, Elvira ha scritto che una volta ha aperto una pentola che c’era sul fuoco, c’era dentro della trippa, ha preso paura, le sembrava una malattia che bolliva (a giorni il compito completo).

Signor Lev

mercoledì 6 Febbraio 2019

Signor Lev,
le ho già scritto due volte, nel 2017.
Non mi ha risposto. Tutti quelli che mi piacciono non mi rispondono.
Ogni volta che penso a lei penso a due cose:
Primo.
Che lei era perfetto per fare babbo Natale, che quest’anno le maestre della materna han chiamato mio babbo e i bambini eran così scontenti, se ci andava lei, con quella barba, sarebbe stato un successone.
Secondo.
Ma lei davvero, in Guerra e Pace quando parlava di Sonja aveva capito come ci sente a essere un ‘fiore sterile come quelli delle fragole’?
Scusi se glielo rinfaccio, ma lei cosa ne vuole capire di questa cosa che di figli ne ha avuti 13?
Tredici, ma le sembra giusto chi niente, chi 13?
Però l’ha detta in un modo così bello quella cosa là, che male, mi fa star male, ma la perdono.

[Soluzione di Elvira Antinozzi al primo compito della scuola media inferiore di Anna Karenina a Bologna (descrivete Lev Tolstoj in 5 righe)]

Non ci interessa

giovedì 5 Aprile 2018

A casa mia c’è sempre stata una specie di censura.
I miei genitori non li ho mai visti farsi un’effusione.
Con noi figlie, in compenso, andavano alla grande i baci in fronte.
Qualsiasi altra forma di affettività veniva scansata come la rogna.
Se in tv, per esempio, c’era la scena di un bacio, mia mamma improvvisamente aveva sete, andava in cucina, e mio babbo, solo e perduto, di solito cambiava canale, diceva a me e a mia sorella: questa scena qua, a noi, non ci interessa, è vero bambine?
Di film, ricordo di aver visto tutto di fila, forse forse, solo il Maggiolino tutto matto.
Era così per i film, le canzoni e tutto quanto.

[Elvira Antinozzi , Una specie di censura, da Qualcosa n. 3, in preparazione]

Qualcosa

domenica 21 Gennaio 2018

Allora forse tra qualche mese, in settembre, dovrebbe uscire il numero 3 di Qualcosa e siamo moderatamente contenti, noi sapodisti, che siam quelli che lo fanno,
Dopo, però, bisognerà lavorare anche ai numeri successivi e dopo il numero 3 noi pensavamo di fare uscire il numero 7, ma così, per fare un po’ i furbi, e nel numero 7 ci piacerebbe che trovassero posto delle cose che si comincia da lontano. Si comincia da un libro di Viktor Erofeev che si chiama Il buon Stalin che parla del babbo, di Erofeev, che era ambasciatore sovietico in Francia, e lì a un certo punto Erofeev dice che ci son due persone che noi conosciamo senza averle mai incontrate, il babbo e la mamma, e, in certe scuole che facciamo delle volte c’è un compito difficilissimo che dice Descrivete vostro babbo, o vostra mamma, e una volta Elvira Antinozzi ha risposto con un pezzetto che è si intitola Montenegro che fa così:

Se potessi andare a scavare in quel buco. Ci andrei. Per cavarla fuori di lì, anche solo per un po’, perché io sono una giuggiolona grande ma di mamma ne ho ancora una gran voglia. Se io potessi!
Anche se, da viva, dirla tutta, era un po’ mattarulla.
Era del ‘41 e, come dire, era un po’ all’antica. Portava il mezzo tacco.
E aveva delle strane convinzioni.
Per esempio sosteneva che è meglio ed è più bello perdere e quindi se giocavi, fai conto, a tombola, non potevi mai dire cinquina, decina o tanto meno tombola, perché era giusto lasciarla fare a qualche altro bambino.
E cose così. Tra l’altro era molto molto spartana, ricordo solo un pochino di rossetto albicocca e il profumo Yves San Loren che le aveva regalato il babbo.
Il suo motto era: bisogna soffrire.
Per questo quando io e mia sorella siamo diventate ‘ragazze’, abbiamo cioè cominciato ad avere il ciclo mestruale, lei era contraria a qualsiasi tipo di antidolorifico. Al massimo un’aspirina.
Diceva che dovevamo resistere, al dolore, che le medicine facevano male e davano assuefazione.
Solo che io stavo veramente malissimo, e una volta sono anche svenuta per strada, a ritorno da scuola e ho ancora in mente mio babbo che l’han chiamato, era a lavorare, è arrivato e mi ha caricato in spalla come un super eroe.
Insomma, lei però non voleva nemmeno che stessimo troppo male e allora aveva detto che quando avevamo il mal di pancia per il ciclo potevamo bere un po’ di liquore perché – secondo lei – l’alcol dilatava i capillari e così, il sangue, defluiva più facilmente e il dolore si sarebbe alleviato.
Per me aveva predisposto proprio una fiaschetta, una di quelle bottigline infrangibili con la chiusura ermetica.
La riempiva con l’amaro Montenegro e me la metteva in cartella. E diceva: se stai male vai in bagno e fai due sorsi, vedrai che poi ti senti meglio.
E io allora, appena cominciavo a star male, andavo in bagno, facevo due sorsi, ma stavo peggio di prima e dopo mi girava anche un po’ la testa.
E una volta son tornata in classe, primo superiore, che era anche un periodo che il mio compagno di banco un po’ mi piaceva, si chiamava Cristian Gallo (che l’ho già scritto nell’altro compito della brutta figura, mi prendeva sempre in giro, mi diceva nell’orecchio: ciao bella mora lo so che ti fai suora) e a un certo punto mi si è rovesciata la cartella con tutto il contenuto, e – passi pure uno di quegli assorbenti antidiluviani alto 4 centimetri – ma, ahimè, tutti han visto che io andavo in giro con una fiaschetta di liquore in borsa. Mi son vergognata tantissimo e ho provato a spiegare la cosa ma peggioravo la situazione.
Il mese dopo ho rubato a mia mamma i soldi e mi son comparata il primo moment.

E ci piacerebbe che il numero 7 fosse tutto fatto di cose del genere (ma questa no, perché questa andrà nel numero 3). Ecco. Buongiorno.

L’avvelenata

martedì 3 Ottobre 2017

E poi mi ricordo anche di quella volta che sempre mia sorella, faceva già le superiori e gli ha preso un gran amore per Guccini. E voleva duplicare per una sua amica una cassetta, quella che si chiamava Via Paolo Fabbri 43 dove c’era una canzone che si intitola L’avvelenata.
Mio babbo allora, che comunque tendeva ad accontentarci, le aveva pure comprato lo stereo con la doppia piastra per duplicare i nastri.
Ma per L’avvelenata c’era un problema.
Perché a un certo punto Guccini dice ‘cazzo in culo’.
La copia alla fine era stata permessa, ma sotto condizione: nel momento preciso in cui si pronunciava ‘cazzo in culo’ mia sorella aveva dovuto sospendere il tasto rec della seconda piastra per far venire nella copia qualche secondo di buco.
Quella volta anche io, che dovevo andare in prima media, ho partecipato, con tutta la famiglia, a questa grande manovra.

[Elvira Antinozzi per Qualcosa]

Solo una sana e consapevole libidine

lunedì 2 Ottobre 2017

Sempre di Zucchero, mi ricordo che era uscita anche un’altra canzone che diceva ‘solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica’.
E nella mia famiglia l’azione cattolica, come dire, andava benone.
Io per esempio ero iscritta all’acr, l’azione cattolica ragazzi. Avevo dovuto scegliere tra quella o gli scout dell’agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani). E avevo scelto l’acr perché almeno quando mi mandavano al campeggio obbligatorio c’era uno straccio di bagno in muratura e non la fossa biologica.
E niente, i miei non eran proprio contenti che andassimo in giro a canticchiare Solo una sana e consapevole libidine, soprattutto mio babbo. Mia mamma invece, anche se non lo faceva tanto vedere, certe volte gli veniva anche un po’ da ridere. Diceva tra sé: ha ragione!
E una volta mio babbo se n’è accorto, si è un po’ innervosito, diceva: «non c’è niente da ridere, ridi te, chi ci pensa alle figlie se non ci penso io, che sono il padre?»
– Ma te sei sicuro? Va che quelle sere era poi buio! – gli aveva risposto mia mamma, e rideva.
E io non avevo capito cosa significava, ma il mio babbo poi ha detto qualcosa come ‘tana vigliacca!’ Mia mamma però ha continuato a ridere, poi ha detto ‘Madonna Generoso se sei pesante!’ e mia mamma, così ridolina, era bellissima.

[Elvira Antinozzi per Qualcosa]