Dostoevskij
C’è una ragazza di Cesena, che abita a Bologna, che quando ha visto una foto di Dostoevskij ha detto che assomiglia a Jovanotti da vecchio.
C’è una ragazza di Cesena, che abita a Bologna, che quando ha visto una foto di Dostoevskij ha detto che assomiglia a Jovanotti da vecchio.
Il tuo stile, dice, va mutando, è tutto spezzettato. Spezzetti, spezzetti… ed ecco una proposizione incidentale, poi nell’inciso inserisci ancora un inciso, poi ancora qualcosa tra parentesi, e poi di nuovo torni a spezzettare, spezzettare.
[Fëdor Dostoevskij, Bobòk, citato in Michail Bachtin, Dostoevskij, traduzione di Giuseppe Garritano, Torino, Einaudi 2002, p. 180]
Il carnevale è uno spettacolo senza ribalta e senza divisione in esecutori e spettatori. Nel carnevale tutti sono attivi partecipanti, tutti prendono parte all’azione carnevalesca. Il carnevale non si contempla e non si recita, si vive in esso, si vive secondo le sue leggi, finché queste leggi sono in vigore, cioè si vive la vita carnevalesca. Ma la vita carnevalesca è una vita tolta al suo normale binario, è in una certa misura una «vita all’incontrario», un «mondo alla rovescia».
[Michail Bachtin, Dostoevskij, traduzione di Giuseppe Garritano, Torino, Einaudi 2002, p. 160]
Possiamo dire che in Dostoevskij l’uomo supera la sua «cosalità» e diviene «uomo nell’uomo» solo nella pura e mai compiuta sfera dell’idea, cioè solo diventando disinteressato uomo d’idea. Tali sono tutti i personaggi principali, quelli cioè che partecipano al grande dialogo, di Dostoevskij.
« – Ma davvero voi nutrite una convinzione simile circa le conseguenze che avrebbe negli uomini la fede nella immortalità dell’anima? – d’improvviso lo starec domandò a Ivan Fëdorovič.
– Sì, io ho sostenuto questo. Non c’è virtù, se non c’è immortalità.
– Beato voi, se credete questo; o piuttosto, grandemente infelice!».
[Michail Bachtin, Dostoevskij, traduzione di Giuseppe Garritano, Torino, Einaudi 2002, p. 113]
Combinare in un’unica creazione artistica le confessioni filosofiche e le avventure criminali, includere il dramma religioso nella trama del racconto d’appendice, condurre attraverso tutte le peripezie del romanzo d’avventure verso le rivelazioni di un nuovo mistero – ecco quali compiti artistici si presentavano a Dostoveskij e lo chiamavano a un complesso lavoro creativo. Nonostante le antiche tradizioni dell’estetica, la quale esige una corrispondenza tra il materiale e l’elaborazione e presuppone l’unità e, in ogni caso, l’omogeneità e l’affinità degli elementi costruttivi di una data creazione artistica, Dostoevskij fonde gli opposti. Egli lancia una sfida decisa al canone fondamentale della teoria dell’arte. Il suo compito è il superamento della difficoltà più alta che si possa presentare ad un artista: la creazione di un’unitaria totalità artistica con materiali eterogenei, vari per valore e profondamente estranei. Ecco perché il Libro di Giobbe, la Rivelazione secondo san Giovanni, i testi evangelici, lo Slovo di Simeon Novyj Bogoslov, tutte cose che nutrono le pagine dei suoi romanzi e dànno il tono a certi suoi capitoli, si uniscono qui originalmente col giornale, la facezia, la parodia, la scena di strada, il grottesco e perfino il pamphlet. Egli getta arditamente nei suoi crogiuoli sempre nuovi elementi, sapendo e credendo che nel calore del suo lavoro creativo i grezzi brandelli di realtà quotidiana, le vicende sensazionali dei romanzi d’appendice e le pagine ispirate dei libri sacri si fonderanno in un nuovo composto e prenderanno l’impronta profonda del suo stile e tono personale.
[Leonid Grossman, Poetika Dostoevskogo, Moskva 1925, pp. 174-175, citato in Michail Bachtin, Dostoevskij, traduzione di Giuseppe Garritano, Torino, Einaudi 2002, p. 23]
Ho cominciato stamattina a scrivere un discorso sugli asili nido che devo fare a Fidenza sabato mattina.
L’inizio è così:
Avere a che fare con dei bambini di due anni, secondo me è difficilissimo. Loro son lì, sono indifesi, in un certo senso tu ne puoi fare quello che vuoi, sono creta nelle tue mani, come si dice. Dipende tutto da quel che gli dici e da come li abitui. Ne vuoi far dei nazisti, ne fai dei nazisti. Ne vuoi fare dei mistici, ne fai dei mistici. Ne vuoi fare dei pittori, ne fai dei pittori.
Una grande matematica russa ricorda nelle sue memorie che il fatto di essere diventata matematica dipendeva dalla carta da parati che c’era nella sua stanza quando era piccola.
I suoi, non avevan tanti soldi, avevano tappezzato la stanza con un vecchio manuale di matematica e lei, vedersi intorno sempre queste radici quadrate, queste equazioni a tre incognite, quando ha poi cominciato a studiar matematica le è sembrato subito facile, una lingua familiare, e è andata giù per quella strada lì e è diventata una grande matematica russa. Ancora meglio di sua sorella che avrebbe potuto sposare Dostoevskij ma ha preferito di no.
E mi son fermato qui.
Si accettano suggerimenti.