Gli ultimi due

lunedì 3 Ottobre 2016

Matti Livorno

Pazzi Andria

Il Repertorio dei matti della città di Livorno e il Repertorio dei pazzi della città di Andria Clic

[Che poi sono questi:
Settembre è un mese che ci sono un sacco di festival, in Italia e io vado dove mi invitano e di solito ci vado volentieri. L’anno scorso, per esempio, a settembre ero stato al Festivaletteratura di Mantova, al festival della follia di Teramo, al festival Torino spiritualità di Torino, dove mi avevano avvisato che, qualche mese dopo, all’inizio del 2016, avrebbero fatto un festival dell’amore, a Torino, e lo hanno poi fatto davvero, dopo ero stato al festival della punteggiatura di Santa Margherita Ligure e poi al festival della lettura per ragazzi Passa la parola di Modena, e a Modena, ero arrivato direttamente da Santa Margherita Ligure e siccome i treni non eran comodissimi ero arrivato un po’ in anticipo avevo fatto un giro per la via Emilia e mi ero imbattuto in un cartellone che avvisava che a Modena, Carpi e Sassuolo (gli stessi posti dove si fa il festivalfilosofia), era in corso, quel fine settimana, un festival della gastroenterologia che era un festival che durava tre giorni e che si intitolava Gastroenterologia a chilometro 0 che a me era sembrato un titolo bellissimo mi era venuta voglia di andarci solo che dovevo andare al festival Passa la parola ero andato al festival Passa la parola e lì, davanti al palchetto del festival Passa la parola, avevo trovato Carlo Lucarelli e gli avevo detto che avevo saputo che nel febbraio del 2016, a Torino, ci sarebbe stato il festival dell’amore, e gli avevo chiesto «Perché non organizziamo, io e te, il festival della disperazione?» e a lui questa idea era piaciuta e con Lucarelli avevam convenuto che sarebbe stato il festival più letterario di tutti, il festival della disperazione.
Ecco questo pezzetto, in una forma leggermente diversa, è poi finito dentro un romanzo che si intitola Manuale pratico di giornalismo disinformato che nel febbraio di quest’anno, intanto che preparavamo il Repertorio dei pazzi della città di Andria, sono andato a presentare a Andria, e quando ho letto questo pezzetto, alla fine, Gigi Brandonisio, che è il presidente del Circolo dei lettori di Andria, mi ha detto «Lo facciamo noi, il festival della disperazione» e adesso forse nell’autunno prossimo lo facciamo. Intanto, nel frattempo, sono usciti il Repertorio dei pazzi della città di Andria e il Repertorio dei matti della città di Livorno, che, essendo appena usciti, io ancora non ho idea di come siano i matti di Andria e quelli di Livorno e in cosa siano diversi dagli altri, ho bisogno di rileggerli, di leggerli in pubblico, di presentarli, di parlarne, però finire questa piccola serie con una piccola scelta dei pazzi di Andria e dei matti di Livorno credo che sia una cosa che vale la pena di provare a farla, ho solo paura che venga un po’ più lunga del solito e allora mi scuso in anticipo del fatto che è lunga perché, come diceva Pascal, di farla più corta non ho avuto tempo comincerei con Andria: Continua a leggere »

I matti di Cagliari e di Parma

mercoledì 21 Settembre 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Repertorio dei matti della città di Parma

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[Che poi sono questi:

Il repertorio dei matti di Cagliari lo abbiamo fatto grazie all’aiuto di Sardinia Post, e il direttore di Sardinia Post, Giomaria Bellu, quando ha letto il libro, ha detto che ci ha trovato dentro il tipico umorismo cagliaritano, che è una cosa che a me è piaciuta anche perché il tipico umorismo cagliaritano io non sono capace di distinguerlo dal tipico umorismo di Sassari, o di Nuoro di Olbia, ma credo che abbia ragione Bellu, e,comunque, giudicate voi:

Uno era il marito della figlia della sorella della moglie del cugino di Virgilio Savona, quello del quartetto Cetra. Lo diceva a tutti.

Uno era il presidente della Regione.
Appena eletto, parlando delle quattro province della Sardegna, aveva detto ‘Le nostre undici amministrazioni provinciali’. Aveva copiato così com’era il discorso di insediamento del Presidente della Regione Lombardia.

Uno partecipava a tutti i funerali. In cimitero, si avvicinava alla vedova (o al vedovo), la abbracciava e le diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”. Poi si avvicinava al figlio (o alla figlia) del morto, lo abbracciava e gli diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”. Poi si avvicinava alla sorella (o al fratello) del morto, la abbracciava e le diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”.

Uno era un uomo che per tutta la vita aveva fatto l’autista dell’arst, quando mangiava era solito guardare il Tg Regione e tutti i giorni c’era un momento in cui lui fermava il chiacchiericcio dei familiari a tavola e, poggiando con decisione le mani sul tavolo “Schh!! silenzio”, poi si alzava per sentire meglio. Tutti stavano zitti e lui diceva “questa la conosco, l’ho accompagnata a scuola per cinque anni” oppure “questa lavora all’ospedale di Nuoro, prendeva il pullman delle cinque e un quarto, sempre in ritardo” o ancora “il figlio di questa rubava il rame dai cantieri, me l’ha raccontato una volta in confidenza, ma non ditene a nessuno”. Tutti i giorni mentre guardava il Tg3 riconosceva qualcuno. Tutti i giorni. A volte anche più di uno. Era convinto di aver accompagnato mezza Sardegna.

C’erano due, marito e moglie.
Non avevano figli e non avevano amici. Passavano la settimana a lavorare, ma la domenica mattina indossavano il vestito bello, mettevano musica degli anni Quaranta sul giradischi e ballavano insieme nel salotto di casa.

Uno girava per Is Mirrionis e i gruppi di ragazzini lo temevano. Si dicevano tra loro “se lo chiami Pizzaiola si incazza” e “marrano (ti sfido) a chiamarlo Pizzaiola”. E allora di tanto in tanto decidevano di sfidare il destino e, armandosi di coraggio, quando lo vedevano in lontananza gli gridavano “o Pizzaiolaaa”. E gridare e cominciare a correre era tutt’uno, perché Pizzaiola tirava fuori il coltello e si dava all’inseguimento dei ragazzini biascicando parole di vendetta.

Uno era emigrato per qualche mese in Germania negli anni sessanta. Di quell’esperienza raccontava solo che era stato a Berlino e aveva saltato il muro, passando alla parte orientale, perché lui voleva vivere in un regime socialista, diceva. Era stato arrestato e dopo pochi giorni espulso, raccontava. “Avevano ragione loro”, diceva, “Come facevano a sapere che non ero una spia?”.

Uno era diventato famoso per la quantità di cibo che era in grado di mangiare, si chiamava Gnassinu e se ne andava in giro in compagnia dei suoi due fratelli. Gnassinu e i suoi fratelli da bambini avevano conosciuto la miseria, così una volta diventati grandi e avendo lavorato sodo tutta la vita, spendevano quel che guadagnavano in cibo. Una volta li videro alla festa di santa Rega a Decimo mangiarsi 100 muggini in 3. Ma Gnassinu nel bel mezzo del record si mise a piangere, mangiava e piangeva, e quando gli chiesero perché piangesse rispose semplicemente così: “non m’acudint is barras” (“le guance non sono abbastanza capienti e veloci per far spazio a quel che mangerei ancora”).

Uno era quello che pisciava nella lettiera del gatto per dimostrargli che era lui il capobranco. Continua a leggere »

Matti due

lunedì 12 Settembre 2016

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[Che poi è questo: Una delle cose che non volevamo fare quando abbiamo cominciato a lavorare sui Repertori dei matti delle viarie città, era un libro su dei matti scritto da dei sani.
Io, allora, alla fine del 2014, avevo appena letto dell’idea di Lacan che il matto, ormai, in occidente, non poteva più considerarsi quello che si metteva lo scolapasta in testa e credeva di essere Napoleone. Il matto, secondo Lacan, avevo appena letto, era Napoleone che credeva di essere Napoleone, e questa idea di Lacan sono stato tentato di metterla in epigrafe ai repertori dei matti delle varie città fino a che non ho letto un saggio di Manganelli dove Manganelli spiega perché ha cominciato a scrivere, e dice che ha cominciato perché non sapeva come allacciarsi le scarpe, e indica il matto come modello di quelli che, come lui, scrivono.
«Il matto – scrive Manganelli – viene prima dello scrittore, dell’astrologo, dell’alchimista; in qualche modo, è la figura archetipa, l’esempio che costoro imitano. È ovvio che non si valuta un matto: non si dice “costui è un matto ‘bravo’”, non ci sono matti migliori di altri; un matto è un capolavoro inutile, e non c’è altro da dire».
Questa immagine di Manganelli del matto come capolavoro intuile, che si ritrova in una una sua poesia: («Scrivi scrivi / se soffri adopera il tuo dolore: / prendilo in mano, toccalo, / maneggialo come un mattone, / un martello, un chiodo, una corda, una lama; / un utensile insomma. / Se sei pazzo, come certamente sei, / usa la tua pazzia: i fantasmi che affollano la tua strada /
usali come piume per farne materassi; / o come lenzuoli pregiati /
per notti d’amore; / o come bandiere di sterminati / reggimenti di bersaglieri [Giorgio Manganelli, Poesie, Milano, Crocetti 2006, p. 184]), noi l’abbiamo un po’ presa come guida, e quando io mi sono accorto di essere finito nel repertorio dei matti della città di Bologna, cioè che uno dei matti bolognesi ero io, devo dire che sono stato contento. Continua a leggere »

Sempre le stesse cose

venerdì 13 Maggio 2016

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Due risposte di Georges Perec

domenica 7 Dicembre 2014

perec

Scrivere, per me, è un modo di riorganizzare le parole del dizionario. O i libri che ho già letto. Abbastanza banale, come vede.

Non tanto: quasi tutti scrivono per cambiare il mondo…

Quello è un altro paio di maniche! Dunque, dicevo, all’inizio ci vuole una certa disponibilità nei confronti di un insieme. Di un catalogo, di un corpus. Si hanno a disposizione un certo numero di elementi e con questi si deve costruire qualcosa. Il primo lavoro che si rende necessario è una ridistribuzione, una riorganizzazione, quindi una disponibilità. Voglio dire che non ci si può accontentare di forme fisse, di modelli dati, di congegni prestabiliti. Da un certo punto di vista: «D’amore morir mi fanno, bella marchesa, i vostri begli occhi»(3), è l’inizio della letteratura. Il risultato non è eccelso, ma il procedimento è lo stesso: quando M. Jourdain capisce che, sebbene il senso resti lo stesso, l’effetto «poetico» della sua frase cambia con l’ordine delle parole, scopre la letteratura. E credo che il primo metodo che si può utilizzare, per arrivare a questa consapevolezza, sia il gioco. Ecco cosa unisce il fatto che amo giocare con il fatto che amo scrivere. La vita istruzioni per l’uso è nato dall’idea di un puzzle. Il puzzle ha fatto nascere un uomo che fabbricava puzzle. E l’intero libro è venuto su come una casa le cui stanze si dispongono come i pezzi di un puzzle. E tutto questo ha dato una macchina per raccontare molte storie.

(3) Molière, Le bourgeois gentilhomme

L’intervista completa è qui: clic