Un forato o un coppo
Giorgio Manganelli una volta ha detto una cosa che quando l’ho sentita mi è rimasta impressa e mi è tornata poi in mente tantissime volte: che i libri, ha detto Manganelli, non sono fatti di sentimenti, sono fatti di parole. A me sembra di capirla così bene, questa idea di Manganelli, e mi sembra che tutti quelli che scrivon dei libri guardino le parole con la cura e l’interesse con i quali uno che fa, mettiamo, il muratore, guarda un forato o un coppo. Ecco, questa attenzione per le parole, mi sembra sia il centro di un libro appena uscito per Quodlibet Compagnia Extra. L’autrice è Maria Sebregondi (traduttrice di Queneau e di Perec, membro dell’Oplepo, la versione italiana dell’Oulipo, inventrice dei taccuini Moleskine, c’è scritto nella nota biografica) e il libro è un piccolo dizionario in ordine alfabetico-bustrofedico (cioè si va dalla a alla zeta e poi si torna dalla zeta alla a) a partire da Allucinazione, la cui definizione è questa: «allucinazione s. f. (der. del s. m. «alluce», primo dito del piede) – attività fantasmatica degli alluci. Creature goffe e ipersensibili, da quando hanno perduto la loro antica funzione prensile e sono confinati nel buio delle scarpe, continuamente creano mutevoli visioni per farsi compagnia». Alla voce Orologio si legge: «orologio s. m. – strumento che informa delle ritmiche fluttuazioni dell’oro. Talvolta d’oro esso stesso, mirabile coincidenza tra sostanza e funzione, ci viene assegnato fin dall’infanzia affinché precocemente apprendiamo che il tempo è denaro». Alla voce Solitudine: «solitudine s. f. (derivato da «sol», quinta nota nella scala fondamentale di «do») – il suono costante a bassa frequenza, per l’appunto un sol (secondo altri un sol diesis calante), prodotto dalle centrali elettriche, un manto sonoro che avvolge la terra da circa un secolo. Raro sottrarsi; si è soliti coprirla con rumori più forti». Alla voce Semaforo: «semaforo s. m. – buco semantico. Un’assenza di significato riempita di colori e celebrata a ogni incrocio. Il triviale totem viene onorato con una sosta pensosa del viandante». Alla voce Ufficio: «ufficio s. m. (der. dell’inter. «uff» o «uffa») – il doveroso atto dello sbuffare. Per estensione: luogo preposto allo sbuffo individuale e/o collettivo, provvisto in genere di ampi e pazienti scaffali ove si archiviano stizza, noia e impazienza». Mi è venuto in mente, leggendo questo Etimologiario, un libretto di qualche anno fa, uscito per Fandango a cura di Matteo B. Bianchi, Il dizionario affettivo della lingua italiana, che è un dizionario composto dalle parole che un centinaio di scrittori hanno scelto come le loro parole preferite, e in particolare le parole scelte da Carlo Fruttero e Luciano Marrocu, mi son venute in mente. La parola preferita di Fruttero è Sfiga: «Dalle misere macerie lessicali del ’68 – scrive Fruttero, – emerge, unico fiore superstite, questo geniale termine di italiano “volgare”. La “s” privativa esalta la cosa negata, massimo bene dunque dell’uomo, origine del mondo. Un vero e proprio omaggio stilnovistico, che il Boccaccio avrebbe sicuramente usato e con ogni probabilità lo stesso Alighieri». Marrocu invece ha scelto Sì. « È sì la parola che preferisco e che uso spesso quando scrivo. Sì, parola chiave dell’assenso, della condivisione, della generosità, dell’amore. (Orrenda, invece, l’associazione del sì con assolutamente, il capolaresco assolutamente sì. Un’espressione tra l’altro incongrua, mettendo insieme la granitica certezza di assolutamente – sempre sospetta di prepotenza e intolleranza – con la mitezza che si intuisce dietro il sì)». Ecco, io, adesso, quando mi capita di scrivere una mail o un sms che dice, semplicemente, «Sì», mi vien da pensare alla definizione di Marrocu, e alla mitezza del Sì, che c’era anche prima ma che io non riuscivo a vedere. Allo stesso modo, forse, d’ora in poi, quando vedrò un bambino piccolo penserò al neonato di cui parla Maria Sebregondi nel suo Etimologiario: «Neonato agg. – sottoposto alle radiazioni luminose del neon. Si applica per estensione ai soggetti appena venuti al mondo: folgorati da luce improvvisa, difficilmente riescono a riprendersi dal trauma».
[Uscito ieri su Libero]