mercoledì 12 Giugno 2024
Mia nonna Carmela usava delle espressioni, non so, diceva «È passata un’ambulanza a sirene spietate», che aveva ragione, sono spietate, era eloquente anche senza avere studiato, mia nonna, non aveva potuto, studiare, era la sedicesima di diciassette fratelli e sorelle era andata a servire a casa di un generale a undici anni e mi diceva «Paolo, a casa nostra c’era una miseria che quando siam diventati poveri abbiamo fatto una festa», e io, è un limite, certo, ma sono così contento, di avere le radici della mia lingua nella lingua di mia nonna, e sono contento del fatto che il primo libro che ho pubblicato comincia con mia nonna, la prima frase che ho pubblicato nella mia vita è: «Mia nonna Carmela si chiamava Carmela» e io sono onorato dal vostro invito anche solo per il fatto di poter pronunciare il nome di mia nonna, Carmela Dall’Asta, in un contesto così nobile come questa solenne prolusione in memoria del nostro più grande poeta.
A questo punto voi potreste dire, «Bene, siamo contenti che tu sia contento di pronunciare il nome di tua nonna Carmela Dall’Asta in un contesto così nobile, ma ti sembra di averci spiegato cosa c’entra, tua nonna Carmela Dall’Asta, con Dante Alighieri?».
E io vi potrei rispondere «No, non mi sembra di averlo spiegato ma adesso lo spiego».
[A settembre, per la casa editrice Longo di Ravenna, esce il volume 52 delle letture Classensi con la prolusione all’annuale di Dante che ho letto l’anno scorso, in occasione del 702° anniversario della morte]
martedì 5 Settembre 2023
Sto scrivendo un discorso da dire a Ravenna il 10 settembre in occasione del 702° anniversario della morte di Dante, e è saltata fuori una parola che diceva sempre mia nonna, Reputazione. Lei lo diceva nel senso che io, secondo lei, non ne avevo, di reputazione.
giovedì 14 Aprile 2016
«Avevo appena cominciato a studiare la lingua italiana, – scrive Mandel’štam, – e ne conoscevo appena la fonetica e la prosodia, quando capii di colpo che in essa il baricentro dell’attività fonica è più vicino alle labbra, si sposta verso l’esterno della bocca. La punta della lingua assurge a improvviso onore; il suono si precipita verso la barriera dei denti. Un’altra cosa mi colpì: la puerilità della fonetica italiana, il suo bellissimo infantilismo, l’affinità con un melodico balbettio, con un dadaismo originario», e a leggere questa cosa a me è venuto in mente la ricetta del fegatello, messa in rima da Margutte nel cantare decimo ottavo:
Del fegatello non ti dico niente:
vuol cinque parte, fa’ ch’a la man tenga:
vuol esser tondo, nota sanamente,
acciò che ‘l fuoco equal per tutto venga,
e perché non ne caggia, tieni a mente,
la gocciola che morvido il mantenga:
dunque in due parti dividiàn la prima,
ché l’una e l’altra si vuol farne stima.
Piccolo sia, questo è proverbio antico,
e fa’ che non sia povero di panni,
però che questo importa ch’io ti dico,
non molto cotto, guarda non t’inganni!
ché così verdemezzo, come un fico
par che si strugga quanto tu l’assanni;
fa’ che sia caldo; e puoi sonar le nacchere,
poi spezie e melarance e l’altre zacchere.
(XVIII, 125-126)
dove a me piace moltissimo verdemezzo, che non so bene cosa voglia dire ma è una parola, come sempre mai, che si trova, anche, nel Morgante («Dicea Margutte: Io ho sempre mai inteso / che gnun non si vorrebbe mai beffare» IX, 89), ecco sempre mai è un avverbio che mi sembra incantevole, nella sua apparente insensatezza, ed è uno di quei casi in cui la traduzione, la parafrasi, mi sembra impossibile, dove la linea del suono e la linea del significato trovano un incrocio miracoloso, come dice ancora Mandel’štam in un altro passo del suo Discorso su Dante: «Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti ciò che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato».
[questo libro forse è uscito oggi]
martedì 24 Febbraio 2015
Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti ciò che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 121]
martedì 10 Giugno 2014
Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti cioè che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 121]
venerdì 10 Maggio 2013
Leggere Dante è soprattutto una fatica interminabile, in cui ogni successo ci allontana ancor di più dalla meta. Se la prima lettura dà soltanto il fiato corto e una sana stanchezza, per quelle successive bisogna provvedersi d’indistruttibili scarponi ferrati. Senza scherzi, mi vien fatto di pensare alla quantità di suole di cuoio e di sandali che Dante deve aver consumato durante la sua fatica poetica, peregrinando sui sentieri da capra dell’Italia.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 121]
lunedì 4 Febbraio 2013
Mentre in matematica, per l’esistenza di una sintassi originale, viene completamente superata, nella storia dell’arte la scolasticità della sintassi continua a produrre colossali danni.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 136]
venerdì 4 Marzo 2011
È magnifica la fame di versificazione dell’italiano antico, il suo appetito animalesco, da adolescente, per l’armonia, il suo desidero sensuale di rima: il disio.
La bocca lavora, il sorriso muove il verso, le labbra rosseggiano, intelligenti e allegre, la lingua si stringe fiduciosa al palato.
Non è possibile scindere l’immagine interiore del verso dall’infinita varietà di espressioni che guizzano sul viso del narratore mentre questi parla e si emoziona.
È l’arte del parlare che altera il nostro viso e ne sconvolge la quiete rompendo la maschera.
Avevo da poco cominciato a studiare la lingua italiana e ne conoscevo appena la fonetica e la prosodia, quando capii di colpo che in essa il baricentro dell’attività fonica è più vicino alle labbra, si sposta verso l’esterno della bocca. La punta della lingua assurge a improvviso onore; il suono si precipita verso la barriera dei denti. Un’altra cosa mi colpì: la puerilità della fonetica italiana, il suo bellissimo infantilismo, l’affinità con un melodico balbettio, con un dadaismo originario.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, cit.,p. 123]