Mio caro

lunedì 25 Ottobre 2010

Una volta, in tempi assai lontani, si intendeva così la cosa: se qualcuno voleva essere maestro del Cristianesimo, si esigeva da lui che egli desse, per garanzia di ciò che insegnava, la sua vita. Ora si è ben lontani da ciò. Il mondo è divenuto più astuto e più serio; esso ha imparato a disprezzare l’elemento personale come alcunché di miserabile e vano e a stimar solo ciò che ha valore obbiettivo. Ora si esige che la vita del maestro offra garanzia che tutto ciò che egli dice siano belle frasi, discorsi drammatici, conversazioni piacevoli, insomma un qualcosa di positivamente obbiettivo.

Ecco alcuni esempi: Se tu vuoi parlare del fatto che il Cristianesimo (quello del Nuovo Testamento) preferisce la castità al matrimonio, e se tu stesso non sei sposato, mio caro, questo non è un discorso fatto per te. Continua a leggere »

Cosa significa vivere in uno stato cristiano

sabato 23 Ottobre 2010

Nel Nuovo testamento il Redentore – Nostro Signore Gesù Cristo – così parla: «la porta è stretta; aspra è la via che conduce alla vita e pochi sono coloro che la sanno trovare». Ed ora invece, per rimandere in Danmarca, siamo tutti cristiani, la via è la più larga possibile, e soprattutto in Danimarca, giacché è la via per cui vanno tutti; perciò essa è comoda sotto ogni aspetto e la porta è larga quanto è possibile (giacché non v’è porta più larga di quella per cui posson passare tutti in massa): ergo, il Nuovo Testamento non ha più verità.
Sia dunque onore al genere umano! Tu, Redentore, tu hai avuto un’idea troppo meschina dell’umnaità, giacché non hai previsto a quale grado di sublimità, attraverso un continuo progresso, essa si sarebbe elevata.
Effettivamente oggi il Nuovo Testamento non è più verità, la via è piana, la porta è spalancata: siamo tutti cristiani. Ma io anzi voglio fare un passo più avanti, perché la cosa mi entusiasma (si tratta infatti di un elogio dell’umanità); io oso anzi credere che anche gli ebrei tra noi siano, almeno in un certo grado, cristiani, cristiani così come lo siamo noi tutti, che siamo cristiani in un certo grado, così come il Nuovo Testamento non è più verità, in un certo grado.
Non vogliamo certo dar false lodi alla grandezza dell’umanità; dobbiamo però cercare di non trascurar nulla che possa dimostrare o accennare alla sua sublimità. Io oso quindi fare un passo ancor più innanzi. Ma poiché mi mancano le conoscenze necessarie per aver sull’argomento una mia opinione decisa, io oso esprimere una semplice idea, lasciando ai competenti di giudicare. Non si scorgono, tra gli animali domestici, almeno tra i più nobili, come i cavalli, i cani, le vacche, i segni del Cristianesimo? La cosa non è affatto inverosmile. Si rifletta su cosa significa vivere in uno stato cristiano, in un popolo cristiano, dove tutto è cristiano e tutti sono cristiani, dove sempre e dovunque non si vedono che cristiani e Cristianesimo, verità e testimoni della verità! Non è affatto inverosimile che ciò abbia ad influire sui più nobili tra gli animali domestici, e che tale perfezionamento progressivo (che, a detta dei zoologi e dei preti, è la cosa più importante) si trasmetta alle generazioni successive.

[Sören Kierkegaard, L’istante, in Diario, cit., pp. 66-67]

Quando porto bagagli

lunedì 18 Ottobre 2010

«Perché avete scelto il vostro mestiere?»: si tratta di un’inchiesta condotta su base mondiale dall’Unesco, i cui risultati non sono stati ancora resi pubblci ma di cui siamo in grado di offrire in anteprima un minimo campionario. Fa impressione la totale concordanza tra le risposte di quanti esercitano le più diverse professioni e mestieri e le risposte date dagli scrittori all’inchiesta di Libération «Perché scrivete?» della quale il lettore italiano conosce l’ampia scelta pubblicata su Reporter (13 e 23 aprile). Del resto, proprio il commento di Reporter sembrava anticpiare il problema quando parla di «risposte che potrebbe dare ciascuno di noi» e acutamente conclude: «È questo lo spirito del tempo: siamo tutti scrittori, o potremmo esserlo. Non lo siamo per un pelo».

Jose Benguela, facchino (Angola): «Ho cominciato a fare il facchino molto giovane, perché aveva la sensazione che qualcosa di essenziale mi mancasse. Assolutamente. Voglio sapere che cos’è. Dunque, faccio il facchino. Non capisco profondamente la realtà se non nell’atto di portare bagagli. E solo in quell’atto mi scopro. E in esso mi nascondo. Quando porto bagagli, non sento alcuna mancanza: etica, politica, affettiva. Niente. Al di fuori del facchinaggio, sono un perenne frustrato. Faccio il facchino per sentirmi vivo. Per vivere.»

Friedrich Zeller, Camionista (Svizzera). «La questione è: perché ho scelto un lavoro così duro? Perché è una passione. Quando guido il mio camion, sono davanti a una catastrofe. Ho sempre l’impressione di essere un dilettante, di non saper guidare, di non conoscere il percorso, la destinazione, i segnali stradali, di essere davanti al nulla. Ma è una passione.»

Isaac Samuelson, rappresentante di commercio (Usa): «Io faccio il rappresentante di commercio per la stessa ragione per cui respiro; perché, se non lo facessi, morirei».

Francesco Vitali, assessore (Italia). «Bisogna accettare di non sapere del tutto perché si fa l’assessore. C’è una linea d’ombra oltre la quale non si può andare…»

[Piergiorgio Bellocchio, Alfonso Berardinelli, Diario, cit., p. 53]