Il verme

venerdì 16 Febbraio 2018

Credo di aver mangiato un verme, disse il bimbo. Era nell’insalata. Pazienza, fece il padre. Di vermi ce ne sono tanti, uno più uno meno non fa differenza. Però non dirlo a tua madre. In quel momento lei sbucò dalla cucina. Credo di aver mangiato un verme, disse il bimbo. Aahh, gridò lei. Lo prese, lo spogliò, gli ficcò la canna dell’acqua nel culo e aprì il rubinetto al massimo finché lui non vomitò tutto. Poi lo risistemò a tavola, stremato. Ti sta bene, gli disse il padre.

[Fabrizio Bolivar, Il verme, in L’accalappiacani n. 1, Roma, Deriveapprodi 2008, p. 80]

Il talento

mercoledì 14 Febbraio 2018

Allora bambini, avete pensato a che lavoro vorreste fare da grandi? chiede la maestra. Sìììì, risposero loro. Sentiamo: tu Marco? L’avvocato. E tu Nicola? Il guidatore d’aerei. Si dice pilota, disse la maestra. E tu Isa? L’infermiera, no la dottoressa. L’infermiera o la dottoressa? La dottoressa. Gaia? L’attrice. E tu Ivan? Io il reggiseno. Tutti risero. Il reggiseno? Ma non è un lavoro, disse la maestra. Allora non voglio fare niente. Quello era un bambino da tenere d’occhio.

[Fabrizio Bolivar, Il talento, in L’accalappiacani n. 1, Roma, Deriveapprodi 2008, p. 82]

La responsabilità

domenica 14 Maggio 2017

Su una strada a tre corsie al semaforo rosso se tutti quelli davanti non alzano la testa verso il semaforo e aspettano che parta quello di fianco, addio! Stan lì una vita a testa bassa.

[L’accalappiacani n. 3, Roma, DeriveApprodi 2009, p. 98]

Domande su Facebook

mercoledì 5 Novembre 2008


Credo che la domanda che più frequentemente ci si sente rivolgere su Facebook, all’inizio, quando qualcuno ti cerca per la prima volta, sia Ma sei proprio tu? Che è una domanda che uno non sa cosa rispondere, per molti motivi. Da un lato ti vien da pensare Ma come, non vedi, che sono io?
Dall’altro lì c’entra una cosa che ha a che fare con un mio amico che si chiama Giuseppe Faso che qualche mese fa ha pubblicato un libro che si intitola Lessico del razzismo democratico al quale libro mi ha chiesto di scrivere una prefazione che è questa qua:

L’anno scorso, prima di conoscere Giuseppe Faso, o subito dopo, adesso non mi ricordo, sono andato a Napoli a lavorare in teatro, a fare l’attore, una cosa stranissima, per me, recitare, non leggere, a me piace molto leggere. Avevo scritto un testo teatrale, l’avevo scritto io, dove c’era una parte, che era la mia, di uno che doveva solo leggere, era un conferenziere. Mi sembrava una soluzione, non so come dire, ideale, solo che poi ho scoperto che al regista non sembrava la soluzione ideale, e che per lui la soluzione ideale era che, nei limiti delle mie capacità, recitassi, oltre che leggere. E mi ha convinto, e mi ha messo su un ruolo dove facevo tre cose, semplici, ma le facevo, e non mi vergognavo neanche tanto, dopo le prime tre o quattro repliche.
E questo ha comportato delle conseguenze, soprattutto il fatto che ho imparato delle cose, come camminare, su un palcoscenico, che non è facile, provate, se credete che sia facile, e come riconoscere i miei gesti parassiti, se si chiaman così, cioè quei gesti che uno fa senza rendersene conto, quei gesti che abitano in lui senza che lui lo voglia. Io adesso ne ho due, perlomeno. Quando ero grasso, ne avevo anche un altro, che era tirarmi giù il maglione sulla pancia, continuamente. Ma non importa.
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