I nostri regni

giovedì 24 Marzo 2022

La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato.

David Foster Wallace (traduzione di Roberto Natalini)

Acqua

mercoledì 16 Febbraio 2022


Quando aspetti un treno che danno in orario, e 5 minuti prima che arrivi scrivono che ha 5 minuti di ritardo, e dopo 5 minuti scrivono che ha 10 minuti di ritardo può essere utile dirti, dentro la tua testa, «Questa è acqua, questa è acqua, questa è acqua».

Egoista

giovedì 10 Settembre 2020

Ma se decido di decidere che la mia vita ha un senso diverso, meno egoista, meno solitario, il motivo per questa decisione non sarà il mio desiderio di essere meno solo, e cioè di soffrire meno, nel complesso? Può la decisione di essere meno egoista essere mai altro che una decisione egoista?

[David Foster Wallace, Il Dostoevskij di Joseph Frank, in Considera l’aragosta, traduzione di Adelaide Cioni e Matteo Colombo, Torino, Einaudi 2014, p. 292]

Giorno dopo giorno

sabato 24 Novembre 2018

Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. A un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.
Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base.
Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo.

[Parte del discorso tenuto da David Foster Wallace ai laureati del Kenyon college il 21 maggio del 2005 nella traduzione di Roberto Natalini, presa da qui: clic ]

Compito

domenica 9 Aprile 2017

foster wallace, solitudine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ma sospetto fortemente che gran parte del compito della vera letteratura sia esacerbare questo senso di intrappolamento e di solitudine e di morte nelle persone, spingerle a prendere coscienza, perché qualunque possibile redenzione ci richiede innanzitutto di guardare in faccia ciò che ci fa paura, ciò che vogliamo negare.

[David Foster Wallace, Un antidoto contro la solitudine. Interviste e conversazioni, traduzione di Martina Testa, Roma, minimum fax 2013, p. 72]

Doveva essere uno nuovo

lunedì 5 Gennaio 2015

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Non poteva usare il telefono per chiamare la donna che aveva promesso di venire perché non voleva occupare la linea proprio nel momento in cui lei provava a chiamarlo, e aveva paura che a trovare il numero occupato lei si sarebbe arrabbiata e avrebbe pensato che lui non fosse interessato e forse avrebbe portato a qualcun altro quello che aveva promesso a lui.
Aveva promesso di procurargli un quinto di chilogrammo di marijuana particolarmente buona per 1250 $ Us. Aveva già provato settanta o ottanta volte a smettere di fumare marijuana. Prima di conoscere questa donna. Lei non sapeva che lui aveva provato a smettere. Era sempre riuscito ad arrivare a una settimana, o due settimane, o forse due giorni, poi ci aveva pensato e aveva deciso di fumarsene un po’ a casa per l’ultima volta. Per questa ultimissima volta aveva bisogno di uno spacciatore nuovo, uno al quale non avesse già detto che doveva necessariamente smettere di fumare e mai più per nessuna ragione, per favore, doveva trovargli la roba. Doveva essere uno nuovo, perché aveva detto a tutti gli spacciatori che conosceva di lasciarlo fuori dal giro. Doveva essere qualcuno di assolutamente nuovo, perché ogni volta che comprava la roba da qualcuno sapeva che quella doveva essere l’ultima volta, e così chiedeva un favore personale allo spacciatore, lo pregava di non trovargliela più, mai più. E dopo che aveva parlato così a qualcuno, non poteva tornare a chiedergliela, perché era un tipo orgoglioso, e anche gentile, e non voleva mettere nessuno in quel tipo di situazione contraddittoria. Poi, quando si trattava di roba, lui si vedeva come un tipo cupo, che dava i brividi, e temeva che anche gli altri lo vedessero in quel modo. Si mise a sedere e pensare e aspettare in mezzo alla x irregolare fatta dalla luce che veniva dalle due finestre. Una o due volte guardò il telefono.

[David Foster Wallace, Infinite jest, traduzione di Edoardo Nesi, Torino, Einaudi 2006, p. 21]

Una particolare ciotola per cani

sabato 22 Novembre 2014

David Lipsky, Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Qualche ora dopo, in aereo: David sta leggendo un catalogo di vendita per corrispondenza in cui compare una particolare ciotola per cani che rilassa la spina dorsale dell’animale.]

La posizione in cui i cani mangiano da cinquanta milioni di anni non gli sta facendo per niente bene.

[David Lipsky, Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta, traduzione di Martina Testa, Roma, minimum fax 2011, pp. 53-54]

Il contrario dello straniamento

sabato 1 Novembre 2014

David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ancora è gigantesca e deve pesare un centinaio di tonnellate e – piacevole sorpresa – ha proprio la forma di un’ancora, la stessa dei tatuaggi.

[David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più, traduzione di Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo, Roma, minimum fax 2001 (2), p. 89 nota 79]

Il cavallo bianco di Garibaldi

giovedì 30 Ottobre 2014

David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte.

[David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più, traduzione di Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo, Roma, minimum fax 2001 (2), p. 7]

Il paesaggio dell’Illinois

mercoledì 24 Settembre 2014

foster wallace, solitudine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A quattordici anni, sentiva che sarebbe potuto arrivare ai tornei nazionali. «Giocarmela seriamente nel circuito giovanile. Sennonché, proprio nel momento in cui stava diventando importante per me, ho cominciato a perdere colpi. Più ti spaventi, peggio giochi». E poi erano gli anni Settanta: i Pink Floyd, i bong. «A quindici anni ho cominciato a fumare un sacco di erba, ed è molto difficile allenarsi quando si fuma un sacco di erba». Ha riso. «Non si hanno tante energie».
Fu più o meno in quel periodo che i Wallace notarono qualcosa di strano in David. Faceva richieste curiose, tipo quella di dipingere le pareti della sua stanza di nero. Era costantemente arrabbiato con la sorella. A sedici anni, si rifiutò di andare alla sua festa di compleanno. «Perché dovrei aver voglia di festeggiarla?», disse ai suoi.
«David ha iniziato ad avere attacchi d’ansia alle superiori», ricorda il padre. «Io notavo i sintomi, ma aveva una conoscenza assolutamente rudimentale di queste cose. Sembrava che la depressione prendesse la forma di uno spirito maligno da cui David veniva posseduto». Sally arrivò a chiamarla «il buco nero coi denti». David si chiuse sempre più in se stesso. «Al terzo anno delle superiori passava un sacco di tempo a vomitare», ricorda la sorella. Una parete della sua stanza era coperta di sughero per attaccarci foto di campioni di tennis ritagliate dalle riviste. David appuntò al muro anche un articolo su Kafka, dal titolo LA MALATTIA ERA LA VITA STESSA.
«Non sopportavo di vedere quelle parole», mi dice la sorella, scoppiando a piangere. «Sembrava che riassumessero la sua esistenza. Non capivamo perché si stesse comportando in quel modo, e quindi ovviamente i miei genitori erano esasperati, esasperati ma per amore».
David si diplomò col massimo dei voti. A qualunque cosa fosse dovuta quella sua burrasca interiore, aveva divelto gli alberi ma era passata. Decise di iscriversi all’Amherst College, dove aveva studiato anche suo padre. I genitori gli dissero che l’autunno nelle Berkshires gli sarebbe piaciuto. Ebbe invece molta nostalgia di casa: delle fattorie e degli orizzonti piatti, delle strade che si stendevano placidamente verso il nulla. «È autunno», scrisse David alla famiglia. «Le montagne sono carine, a il paesaggio non è bello come quello dell’Illinois».

[David Lipsky, Gli anni perduti e gli ultimi giorni di David Foster Wallace, in David Foster Wallace, Un antidoto contro la solitudine. Interviste e conversazioni, traduzione di Martina Testa, Milano, minimum fax 2013, pp. 261-262]