giovedì 27 Settembre 2018
Ascanio Celestini, Matteo Bordone, Roberto Bui (Wu Ming 1), Maria Antonietta, Lisa Ginzburg, Alessandro Robecchi, Davide Enia, Fulvio Abbate, Daniele Giglioli, Roberto Camurri, Claudio Giunta, Monika Bulaj, Maurizio Bettini, Antonio Manzini, Riccardo Falcinelli, Dario Voltolini, Francesca Genti, Annalena Benini, Massimo Mantellini, Gaia Manzini, Francesca Manfredi, Andrea Mingardi, Martina Testa, Paola Gallo, Giorgio Biferali, Ginevra Lamberti, Marco Franzoso, Roberto Citran, Massimo Recalcati e Daniela Collu nelle biblioteche della provincia di Reggio Emilia dal 6 ottobre al 20 dicembre, a raccontare i libri (o le musiche, o i quadri) della loro vita per la rassegna Il monastero del proprio spirito, organizzata da Arci Reggio Emilia e Regione Emilia Romagna, immagine di Guido Scarabottolo, programma completo qui: clic
Il titolo viene da una cosa che Sergej Dovlatov ha scritto di Iosif Brodskij: «In confronto con Brodskij, – ha scritto Dovlatov – gli altri giovani anticonformisti sembrava che facessero un altro mestiere. Brodskij aveva creato un modello di comportamento inaudito. Non viveva in uno stato proletario, viveva nel monastero del proprio spirito. Non si opponeva al regime. Non lo considerava. E non era nemmeno sicuro della sua esistenza. Non conosceva i membri del Politburo. Quando sulla facciata del suo palazzo avevan montato un ritratto di sei metri di Mžavanadze (segretario del partito comunista georgiano), Brodskij aveva detto: – Chi è? Sembra William Blake».
giovedì 13 Settembre 2018
«Robespierre ghigliottina il boia dopo aver fatto ghigliottinare tutti i francesi». Così si legge nella didascalia di una stampa termidoriana in cui l’incorruttibile si staglia sullo sfondo di una foresta di ghigliottine, mentre in secondo piano campeggia un monumento sepolcrale che reca l’iscrizione «Cy gyt toute la France».
[Daniele Giglioli, All’ordine del giorno è il terrore, Milano, IlSaggiatore 2018, p. 47]
venerdì 30 Marzo 2018
Se solo la vittima ha valore, se solo la vittima è un valore, la possibilità di dichiararsi tale è una casamatta, una fortificazione, una posizione strategica da occupare a tutti i costi. La vittima è irresponsabile, non risponde di nulla, non ha bisogno di giustificarsi: il sogno di qualunque potere. Nel suo porsi come identità indiscussa, assoluta, nel suo ridurre l’essere a una proprietà che nessuno può disputarle, realizza parodicamente la promessa impossibile dell’individualismo proprietario. Non a caso è oggetto di guerre, nella pretesa di stabilire chi è più vittima, chi lo è stato prima, chi più a lungo. Le guerre hanno bisogno di eserciti, gli esercii di capi. La vittima genera leadership. Chi parla in suo nome? Chi ne ha diritto, chi la rappresenta, chi ne trasforma l’impotenza in potere? Può veramente parlare il subalterno? Se lo è chiesto Gayatri Spivak in un saggio famoso. Il subalterno che sale alla tribuna in nome dei suoi simili è ancora tale o è già passato dall’altra parte?
[Daniele Giglioli, Critica della vittima, Milano, Nottetempo 2014, pp. 10-11]
giovedì 18 Giugno 2015
Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore.
[Bertold Brecht citato in Daniele Giglioli, Stato di minorità, Roma-Bari, Laterza 2015, p. 74]
giovedì 7 Luglio 2011
Il primo di luglio mi han telefonato mi han detto che una mia amica, che da quattro anni ha un tumore, sta molto male. Non riesce più a camminare, non muove le gambe, e fa fatica anche a muover le mani. Ha poco più, o poco meno, non lo so di preciso, di quarant’anni, e due bambini piccoli, una di cinque e uno di otto anni. Ha un tumore in bocca. “Di solito viene agli alcolizzati anziani”, mi ha detto quattro anni fa, quando mi ha raccontato quello che le stava succedendo, prima della prima operazione che le hanno fatto, gliene hanno fatte poi altre tre. Lei era praticamente astemia, aveva meno di quarant’anni.
Quando mi han detto così, il primo di luglio, ho scritto una mail alla mia amica, non le scrivevo da mesi, e poi ho pensato a un saggio di Daniele Giglioli, che era appena uscito per Quodlibet.
Il saggio si intitolava Senza trauma, e partiva dall’idea che “il tempo che stiamo vivendo possa essere definito come il tempo del trauma senza trauma; meglio ancora, del trauma dell’assenza di trauma”.
La mia amica ammalata di tumore, la cosa che le premeva di più, nel corso della sua malattia, era continuare a lavorare. Ha lavorato quasi sempre, prima da casa, poi in casa editrice, poi ancora da casa, poi ancora in casa editire, lavora in una casa editrice. Mi ha ricordato mio babbo, che è morto di tumore ai polmoni nel 1999, aveva quasi settantanni, e quando pensava a una possibile guarigione, la cosa che lo faceva star bene, era l’idea che sarebbe tornato su un cantiere, mio babbo lavorava sui cantieri.
Secondo Giglioli noi, oggi, non vivendo traumi, li immaginiamo dovunque. È “come se fossimo così traumatizzati dall’assenza di traumi reali da doverci constringere a inseguirli ansiosamente in ogni situazione immaginaria possibile. Immaginaria o perché fittizia, o perchè comunque accessibile soltanto in absentia, da lontano, non qui”.
A me piace moltissimo il modo in cui la mia amica ha parlato, in questi anni, del suo tumore. Era come se, con l’accanirsi della malattia, si accanisse anche lei, sempre di più, nella sua restistenza. Mi ha fatto venire in mente (e gliel’ho detto, una volta) quando nella Leningrado assediata dai nazisti c’è stata, il 5 marzo del 1942, la prima della settima sinfonia di Šostakovič. Come per dire: “Voi ci assediate? Voi pensate di ridurci alla fame? E noi ci mettiamo i nostri vestiti migliori, e andiamo nel nostro migliore teatro a sentire eseguire dai nostri migliori musicisti l’ultima sinfonia del nostro migliore compositore”. Continua a leggere »