domenica 3 Novembre 2019
Agli organi egli aveva dedicato la vita intera; agli organi aveva sacrificato la salute. Egli aveva sempre lavorato negli organi; nel loro nome aveva imprigionato, e da essi era stato a sua volta imprigionato prima, riabilitato poi. Tuttavia, la devozione e la sincerità con le quali aveva seguitato a servirli anche in seguito gli erano valsi l’Ordine dell’amicizia tra i popoli il, distintivo di Čekista onorario ed il titolo di Lavoratore benemerito della cultura che qualche umorista aveva subito abbreviato – c’era da dubitarne? – nel ben poco decoroso acronimo di LAVBENCUL.
[Vladimir Vojnovič, Il colbacco, traduzione di Cristina d’Audino, Torino, Einaudi 1999, pp. 57-58]
sabato 2 Novembre 2019
In ognuno dei suoi racconti (inizialmente Efim scriveva racconti), delle sue storie (poi cominciò a scrivere storie, un po’ più lunghe dei racconti), e dei suoi romanzi (alla fine scriveva unicamente romanzi), le persone sembravano frutto di una selezione a tal punto erano tutte quante per bene, meravigliose, una meglio dell’altra.
Efim mi assicurava che i suoi personaggi esistevano anche nella vita reale. Da bravo scettico io nutrivo seri dubbi. A mio parere gli uomini non cambiano mai e ritengo che persino su un iceberg alla deriva un collettivo di sovietici conterà sempre e comunque carrieristi di Partito, piccoli delatori e, statene certi, almeno un effettivo del Comitato per la sicurezza nazionale [meglio noto come Kgb]. E questo perché in condizioni di particolare isolamento e di prolungato distacco dalla madre patria anche nelle persone più indomite può manifestarsi il desiderio di esprimere pensieri ideologicamente immaturi o di raccontare barzellette ambigue sotto il profilo politico.
[Vladimir Vojnovič, Il colbacco, traduzione di Cristina d’Audino, Torino, Einaudi 1999, pp. 4-5]
venerdì 16 Giugno 2017
Questa parola «banana» era nata negli orfanotrofi nei giorni del comunismo di guerra, frutto esclusivo dell’ingenuità dell’età infantile, come modo per designare impossibili eventi. Ascoltando le assurde fandonie dei compagni più grandi sugli incanti di questo esotico frutto che, per chi sa quale motivo, inondava i mercati negli anni precedenti la rivoluzione, i bimbi più piccoli, offesi dallo schioccar di labbra di quei fortunati più grandi di loro, e senza speranza di poterne gustare, decisero risentiti che la banana era semplicemente una menzogna. Stilisticamente abbiamo quindi il diritto di affermare il contrario: la menzogna è una banana.
[Olga D. Forš, Il vascello folle, traduzione di Cristina d’Audino, Roma, Lucarini 1991, pp 3-4]