29 maggio – Milano

domenica 29 Maggio 2022

Domenica 29 maggio,
alle 12 e 45,
a Milano,
alla Fabbrica del vapore
(cattedrale)
con Emidio Mansi e
Claudio Sciarrone
Cosa significa essere un eroe
(dentro Cibo a regola d’arte,
di Cook Corriere della Sera,
conduce Chiara Amati).

Qualità della vita

lunedì 15 Novembre 2021

Non so, per esempio, uno che uccide i suoi genitori, se è uno di Parma, io il primo pensiero che ho “Si vede che gli avevan fatto qualcosa”, mi vien da pensare. Non so se mi spiego.

[Domani, sul Corriere della sera, commento il fatto che Parma è in testa alla classifica della qualità della vita di Italia Oggi/La sapienza]

Sulla Lettura

domenica 4 Luglio 2021

Sulla Lettura del Corriere della Sera, oggi.

Sul riposo

venerdì 27 Aprile 2018

Mi hanno chiesto di fare un discorso, a Parma, per il primo maggio, festa del lavoro. Non è la prima volta che mi chiedono di parlare il primo maggio, e quando mi succede, tutte le volte, mi vien la tentazione di far l’elogio del riposo.
E mi vien sempre in mente che, nei romanzi stranieri del sette e dell’ottocento che ho letto, una delle espressioni italiane che ho trovato più spesso, scritta in corsivo e con una nota che dice «In italiano nel testo», è: il dolce far niente.
Che è un’espressione che abbiamo inventato noi e che ha fatto il giro del mondo e a me vien da dire che ci sarà un motivo.
Qualche anno fa, nella biblioteca Salaborsa di Bologna, nel bagno degli uomini, qualcuno aveva scritto sulla porta la traduzione di una frase che doveva essere stato una specie di manifesto dei situazionisti: «Non lavorate mai», c’era scritto con un pennarello nero, e di fianco un cerchio attraversato da una freccia piegata che doveva essere il simbolo dell’autonomia. E sotto qualcun altro aveva scritto, sempre con un pennarello nero: «E chi ci ha mai pensato». E io mi ricordo avevo pensato “Ecco vedi”.

Io, la tentazione che ho, quest’anno, è di dire che per me, la costituzione italiana, il primo articolo, «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro», io lo cambierei in «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul riposo»,  mi sembra bello e più adatto ai tempi, perché quella cosa lì della Repubblica fondata sul lavoro, aveva probabilmente senso negli anni ’40, oggi non lo so.

Che io, quando penso al lavoro mi viene in mente una cosa che ho scritto anche dentro un romanzo, e dev’essere una cosa che mi sembra che sia interessante perché tutte le volte che ho l’occasione di dirla la dico, e la dirò anche il primo maggio, a Parma, probabilmente, e consiste nel fatto che quelli che son nati negli anni ‘20, e che avevan vent’anni negli anni ‘40, avevan dovuto combattere perché c’era la guerra e servivano dei soldati; quelli che son nati negli anni ‘30, e avevan vent’anni negli anni ‘50, avevan dovuto lavorare perché c’era stata la guerra e c’era un paese da ricostruire: quelli che son nati negli anni ‘40, e che avevan vent’anni negli anni ‘60, avevan dovuto lavorare anche loro perché c’era il boom economico e una grande richiesta di forza lavoro; quelli che son nati negli ‘50, e che avevan vent’anni negli anni ‘70, avevan dovuto contestare perché il mondo così com’era stato fino ad allora non era più adatto alla modernità o non so bene a cosa. Poi eravamo arrivati noi, nati negli anni ‘60 e che avevamo vent’anni negli anni ‘80 e l’unica cosa che dovevamo fare, era stare tranquilli e non rompere troppo i maroni.
A me sembra che noi, nati negli anni ‘60 (io sono del ‘63) siamo stati la prima generazione che, se ci davano un lavoro, non era perché c’era bisogno, ci facevano un favore.
Cioè era come se il mondo, che per i nostri genitori era stata una cosa da fare, da costruire, per noi fosse già fatto, preconfezionato, e il nostro strumento, per entrare nel mondo, non era la forza di volontà, o l’entusiasmo, era la disperazione.
Quando poi è uscito il libro dove avevo scritto questa cosa, qualcuno mi ha chiesto cosa pensavo di quelli che eran nati negli anni ‘70, negli anni ‘80 e negli anni ‘90, e io ho risposto che mi sembra che anche per loro, la situazione sia identica alla nostra, con una differenza, però, che noi quando lavoravamo c’era questa abitudine, questa convezione che ci pagavano; loro, quando cominciano a lavorare, non li pagano. E questa è proprio una cosa che io non la capisco.

E poi, per finire, che in qualche modo bisogna finire, io credo che il primo maggio, sul palco di Parma, dirò che io, a pensarci, i momenti più belli della mia giornata sono quando lavoro, sono quando metto le mani sulla tastiera di un computer e faccio andare i polpastrelli, quando ho un romanzo che mi cambia sotto le mani e che diventa una cosa inaudita, e credo che finirò dicendo che, nonostante tutte le mie convinzioni la mia giornata, tutte le mie giornate mi dicono che è una cosa evidente, che il lavoro è l’unica salvezza, che l’unica salute è diventare matti. Buongiorno.

[Uscito ieri su 7 del Corriere della Sera]

Praticamente

lunedì 21 Agosto 2017

[Michele Farina, del Corriere della Sera, mi ha chiesto di dire in poche righe cosa sta leggendo la vecchia ritratta nella foto di Maurizio Cattelan parzialmente riprodotto qua sopra (per una cosa che si chiama Alzheimer Fest, cliccare sull’immagine per ingrandire). Ho scritto il pezzetto che copio qua sotto, che credo sia sul numero in edicola della Lettura]

La signora sta leggendo un’antica edizione di un libro di AlfB, poi ripubblicato nel nostro secolo da Einaudi, libro intitolato Scusa l’anticipo, ma ho trovato tutti verdi, che è un repertorio di 499 luoghi comuni al contrario, come: «Ti lascio perché ti amo troppo poco», o «Mi piaci dal secondo momento che ti ho vista», o «Questo albergo non è una casa», o «È un periodo che non voglio stare da sola. Vediamoci per un po’», o «È ora che Babbo Natale capisca che i bambini non esistono», o «Mi hanno rubato il portafogli, ma non è per i documenti e le chiavi, è per i soldi», o «Non è l’umidità, è la temperatura», o «Non cenare, che poi non mangi i biscotti!», o «Perché bere l’acqua de rubinetto? A Roma ad esempio l’acqua in bottiglia è buonissima», o «L’appetito viene digiunando», o «C’è la crisi c’è la crisi, e poi la sera stanno tutti a casa», o «I figli crescono a una velocità credibile», o «Appena svengo, vedo il sangue», o «In fondo Mussolini ha fatto anche molte schifezze». Un classico, praticamente.

Come mai un altro libro?

mercoledì 18 Marzo 2015

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1) Come mai un altro libro per ragazzi dopo “Tredici favole belle e una brutta”?

Domanda che mi ricorda una domanda che mi hanno fatto spesso: «Perché scrivi?», e io tutte le volte che me la son sentita fare ho pensato che dietro c’era la domanda «Perché non fai magari qualcos’altro che forse ti viene un po’ meglio?». Comunque, ho scritto un altro libro per ragazzi perché mi hanno proposto di scriverne un altro e, siccome mi era piaciuto scrivere il primo, e mi era piaciuta la relazione con dei lettori diversi da quelli che leggono i miei libri per grandi, ho detto che avrei provato, e ho provato e adesso mi sembra che ci siamo.

2) E’ ancora legato al tuo essere padre come per il precedente?

Da quando è nata mia figlia, nel 2004, tutto quello che faccio è legato al mio essere padre, come dici tu.

3) Chi è la bambina fulminante?

È una bambina di dieci anni che scopre che gli accidenti che tira alle persone che la circondano arrivano, si realizzano, si concretizzano.

4) Riesce a gestire il suo superpotere o ne è in qualche modo sopraffatta?

Mi sembra che sia molto brava.

5) Come sono i rapporti di Ada con il mondo che le sta intorno?

Sono pieni di aspettative, di stupore, di illusioni, di delusioni e di incanti, come i nostri, più o meno.

6) E con i suoi genitori, in particolare?

È difficile, a dieci anni, separare il mondo dai genitori: il mondo di Ada mi sembra che stia sotto un cielo composto dai suoi genitori.

7) Che ruolo ha la poesia in questo libro? E la rima che peso ha?

Il babbo di Ada fa l’illustratore, gli piacerebbe essere un poeta ma non ci riesce, scrive delle poesie che non piacciono a nessuno e che sono, forse, un po’ comiche. La rima è l’elemento che fa scattare la magia, il superpotere.

8) Superpotere uguale grande responsabilità è un principio fondamentale anche nelle storie dell’Uomo Ragno, che pure è un ragazzo del liceo e non ha 10 anni. C’è forse qualche attinenza?

È un po’ una citazione, che non si deve a Ada ma all’io narrante che si chiama come me e che ha, più o meno, la mia età.

9) Ho letto nella scheda che è un’avventura che dura un minuto ma si legge in due ore. Qual è il trucco?

Me lo chiedo anch’io.

10) Tra pochi giorni a Bologna c’è la Fiera del Libro per Ragazzi. Di solito la segui? Ti interessa?

La seguo quando mi invitano e quest’anno mi hanno invitato, ci vado.

[Intervista a Piero Di Domenico uscita oggi sul Corriere Bologna]

Un’intervista non pubblicata

martedì 5 Febbraio 2013

[Nell’imminenza della lettura integrale di Grandi Ustionati che c’è stata domenica scorsa, organizzata da Marcos y Marcos, ai Frigoferi milanesi, Severino Colombo, per le pagine milanesi del Corriere della Sera, mi ha fatto un’intervista che non è stata pubblicata perché poi me ne ha fatto un’altra Alessandro Beretta, che è tornato all’ultimo momento da un posto dov’era che mi son scordato di chiedergli che posto era. Visto che l’abbiam fatta, mi dispiaceva che andasse persa, allora la incollo qua sotto]

Innanzitutto sull’evento. Non si sente un po’ come una rockstar a registrare un audiolibro dal vivo, con il pubblico in sala?

No, non mi sento come una rockstar. Continua a leggere »

Bellissimo ponte

sabato 1 Ottobre 2011

Nella campagna elettorale di Parma del 2007, quando chiesero al futuro sindaco Pietro Vignali qual era il progetto che maggiormente avrebbe impegnato la sua amministrazione se fosse stato eletto sindaco, Vignali rispose che lui e i suoi assessori avrebbero concentrato le loro forze, soprattutto, sul progetto della metropolitana. A me, che sono di Parma, è successo più di una volta, in questi anni, di raccontare, in giro per l’Italia, che a Parma, una città di 163.000 abitanti, volevano fare la metropolitana, e tutte le volte che l’ho raccontato la gente rideva. E era effettivamente una cosa che faceva un po’ ridere. Qualche anno fa, poco dopo che Parma era stata destinata ad essere la sede dell’agenzia europea per l’alimentazione, a sud della citt su via degli Argini, stato inaugurato un ponte sul torrente Parma, torrente che per buona parte dell’anno è in secca. Se qualcuno ha l’occasione di passare da quelle parti (la strada che porta alla fondazione Magnani Rocca, di Mamiano, che un piccolo, incantevole museo, con un Goya che lascia sbigottiti e che, da solo, mi sembra, vale la pena del viaggio) resterà colpito dall’enormità del ponte rispetto alla modestia del paesaggio e delle abitazioni. A me, ogni volta che lo vedo, viene il mente il ponte di Brooklin come era riprodotto sulla confezione delle chewing-gum La Gomma del Ponte. A Parma raccontano che per l’inaugurazione di quel ponte, alla quale era stato invitato l’allora presidente della Agenzia per l’alimentazione, un belga, se non ricordo male, quando chiesero al presidente come gli sembrava il ponte, lui rispose Bellissimo ponte, peccato che non avete il fiume. La spoporzione tra le aspirazioni degli amministratori e le dimensioni e le necessità della città mi sembra fosse evidente fin da allora e questo modo di governare, questa mania di essere grandi, di essere i primi, di essere ricchi, oltre che comica, e pericolosa, non ha molto a che fare con Parma così come la capisco io. I miei nonni, che abitavano dalle parti di quel ponte, erano molto poveri, mia nonna ogni tanto mi diceva, un po’ scherzando un po’ no: In casa nostra c’era una miseria che quando siam diventati poveri abbiam fatto una festa; ma avevan di bello, i miei nonni, che di quella povertà non si vergognavano. E non facevano ridere, a guardarli.

[Dovrebbe essere uscito sul Corriere della sera di oggi]

Riscrivere

martedì 24 Novembre 2009

Alessandro Beretta mi ha chiesto, in occasione del BookJockey day (si chiama così) che ci sarà sabato a Milano, di fare una specie di cover dell’inizio di un romanzo celebre. Allora ho provato a riscrivere l’inizio di Anna Karenina:

Tutte le classi disciplinate sono simili fra loro, ogni classe indisciplinata è indisciplinata a modo suo.
Tutto era in scompiglio nella prima A commercio estero dell’Istituto Tecnico Commerciale Macedonio Melloni. La professoressa di geografia aveva saputo che il bidello intratteneva una relazione con la professoressa di francese che aveva avuto la supplenza nella loro classe, e aveva dichiarato al bidello di non poter più vivere nella stessa scuola con lui. Questa situazione durava già da più di due giorni ed era avvertita in modo doloroso dai professori e dagli alunni, nonché da tutto il personale non docente. Tutti i membri del corpo insegnate e il personale non docente sentivano che la loro convivenza non aveva più senso, e che persone riunite dal caso in una locanda qualsiasi erano più legate fra loro che non essi, i dipendenti dell’Istituto Tecnico Commerciale Macedonio Melloni. La professoressa di geografia non usciva più dalla sala insegnanti; il bidello non era a scuola da due giorni. Gli alunni correvano abbandonati per la scuola; la supplente di francese aveva litigato con la vicepreside e scritto un biglietto al provveditore, pregandolo di cercarle un nuovo posto; il professore di ginnastica se n’era andato già il giorno prima durante l’intervallo; l’insegnante di religione e quella di merceologia si erano messe in malattia.

Per leggere l’originale, cliccare qui: Continua a leggere »

Anticipazioni

domenica 8 Marzo 2009

beckett

Ho letto sul Corriere della sera (l’articolo è «Del nostro corrispondente Alessandra Farkas») che sta per uscire, negli Stati Uniti d’America, il primo volume di The letters of Samuel Beckett (782 pagine). Nell’articolo c’erano queste anticipazioni:
«Tuo per sempre»; «Saluti vivissimi»; «Dio ti benedica». «Dublino ti consuma l’impazienza, Londra la pazienza». «T. Eliot è toilet all’incontrario».
L’origine della specie di Darwin è «immondizia illeggibile». Alcune opere di Proust sono «scariche pretenziose e piagnucolose di una pancia afflitta da coliche». Lawrence è «uno che tenta di dar fuoco al bagnato, solo noioso».
«Jojce mi ha pagato 250 franchi per 15 ore di lavoro sulle sue bozze – scrive Beckett nel 1937 dopo aver lavorato a Finnegans Wake. – Ma poi mi ha integrato il compenso con un vecchio soprabito e 5 cravatte. Io non ho rifiutato perché è più facile essere ferito che ferire». «Palpitazioni cardiache, cisti purulente al collo, disturbi anali e umore nero». «Sono depresso come un cavolo infestato di lumache». «Vorrei diventare un pilota d’aereo commerciale».
C’è anche una lettera a Sergej Ejzenštejn «nella viva speranza di essere ammesso alla famosa Scuola di cinematografia di Mosca».