Padroni

sabato 17 Maggio 2014

È da un po’ che penso a un’intervista che ho sentito per radio che c’era uno scrittore che diceva che «Avere un padrone semplifica la vita. Avere un’entità, come un’azienda, che stabilisca quel che è bene e quel che è male, dà sicurezza». Ecco io, quando ho sentito così, ho pensato al primo romanzo che ho scritto, era il 1998, il romanzo si intitolava Le cose non sono le cose, e il motivo per cui l’ho scritto era proprio provare a non avere più dei padroni. Provare a uscire da quei posti lì, come le aziende, dove c’era qualcuno che stabiliva per te quello che è bene e quello che è male. Provare a vivere una vita senza tante sicurezze, che io allora pensavo che mi sarebbe piaciuta di più, e devo dire che lo penso ancora. E allora, visto che quella frase lì del fatto che avere un padrone semplifica la vita non mi andava via dalla testa, sono andato ad aprire quel vecchio romanzo per cercare un pezzetto dove il protagonista diceva che lui non voleva essere un dipendente e spiegava il perché, solo che quel pezzo lì non l’ho trovato ne ho trovato un altro che copio qua sotto: «Sul giornale c’è scritto che a Pechino un cinese, Chen Yunquin, si chiamava, titolare di una rubrica televisiva, nel 1988 aveva fondato insieme a tredici amici l’associazione «Coltivare l’amore», che aveva offerto consulenza e assistenza a centinaia di aspiranti suicidi. Deluso dal fatto che il suo secondo romanzo, Vivere, era stato rifiutato, come già il primo, Sorridi alla vita, da tutti gli editori ai quali l’aveva proposto, Chen Yunquin si è impiccato a Pechino, a cinquantatre anni. Strappo il ritaglio e me lo metto nel portafoglio, – diceva il protagonista, – che queste cose possono sempre servire». E quella cosa mi ha fatto venire in mente un pezzetto di un discorso di Foster Wallace che dice che «Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta è che cosa venerare». E, forse, adesso quel cinese lì di cinquantatre anni, Chen Yunquin, non lo so, ma il protagonista di quel romanzo lì Le cose non sono le cose, che si chiamava Learco Ferrari, e anch’io, che quel romanzo lì l’ho scritto, nessuno di noi voleva dei padroni, ma abbiamo scelto tutti e due di venerare la letteratura, cioè, in un certo senso, di fare della letteratura il nostro padrone; e allo stesso modo, forse, anche quando si va a votare, adesso tra poco si va a votare, e a Casalecchio di Reno han cominciato ad appendere i manifesti elettorali, e io ho scoperto che c’è una lista che si chiama Rivogliamo i cassonetti, e anche andare a votare, in un certo senso, è una cosa che dà sicurezza, e semplifica la vita, e significa delegare a un altro molte decisioni e, in senso lato, anche quello significa scegliere un padrone solo che, ho pensato, quando ero piccolo io c’erano dei partiti, non so, il Partito Socialista Italiano, o la Democrazia Cristiana, o il Partito Comunista Italiano, o Democrazia Proletaria, che scegliere quelli, come padrone, non so, dire: «Io ho votato Democrazia Proletaria», o «Io ho votato Democrazia Cristiana» erano frasi che facevano effetto, allora. Oggi, non so, dire, «Io ho votato Rivogliamo i cassonetti», fa effetto anche quella, però è un effetto un po’ diverso, che non ci sono più i padroni di una volta, vien da pensare.

 

[uscito ieri su Libero]

Come la coda del maiale 2

venerdì 30 Marzo 2012

Nel 1911, un anarchico di Praga che si chiama Jaroslav Hašek, e che diventerà uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo, fa l’ultima cosa che ci si aspetterebbe da un anarchico, fonda un partito politico. Lo chiama Partito del progresso moderato nei limiti della legge, e si autonomina Unico candiato alle elezioni per il rinnovo del parlamento austroungarico. E fa una vera e propria campagna elettorale, con dei comizi come quelli di tutti gli altri partiti, con la differenza che la prima domanda è gratis, per fare le successive bisogna pagare mezza pinta di birra. Allora, a parte il fatto che questa esperienza è diventata poi un piccolo libro che a me sembra bellissimo, Storia del partito del progresso moderato nei limiti della legge, e che comprende i discorsi che Hašek fece in quella celebre e ingloriosa campagna elettorale (sembra che i voti per il Partito del progresso moderato nei limiti della legge furono 38) e a parte il fatto che questo libro, nella traduzione di Sergio Corduas, sta per ricomparire in italiano dopo trentasette anni di assenza, in ebook, per i tipi di Sugaman (casa editrice nata l’anno scorso e fondata da Alessandro Bonino e da me – sono in palese conflitto d’interessi, mi sembra), a parte questi fatti mi veniva da chiedermi se io sarei disposto a spendere l’equivante di una mezza pinta di birra per fare una domanda a Bersani, per dire, e mi veniva da rispondermi che non lo so mica.

[Uscito oggi su Libero]