Mia moglie?
Come tutte le mie vittime, George Franklin era notevolmente sorpreso e sconvolto di vedermi seduto lì in una delle sue poltrone con una 45 automatica in pugno. Ha guardato l’interruttore sulla parete e la punta delle sua dita, forse chiedendosi se non bastasse spegnere la luce per farmi sparire.
Io ho indicato un’altra poltrona. “Prego, entri e chiuda la porta. Si sieda”.
Ha fatto come gli ho detto e poi ha posto la prima domanda pertinente. “Cos’è questa, una rapina?”
Ho sorriso. “No, non è una rapina”.
Esitava a formulare un’altra ipotesi, così gli ho dato una mano io. “Sono qui per ucciderla” ho detto.
Ha esibito un prevedibile shock. “Uccidermi? Ma perché? Io non l’ho mai vista in vita mia”.
Ho accennato un altro sorriso. “‘Per la verità, non è che io voglia propriamente ucciderla. Personalmente, non ho nulla contro di lei. Si tratta solo di lavoro, per me. Sto solo portando a termine l’incarico per cui sono stato assoldato”.
I suoi occhi erano spalancati. “Lei è un killer professionista?”
Ho annuito.
Franklin si è leccato le labbra. “Chi l’ha assoldata? Mia moglie?”
Ho alzato un sopracciglio. “La vuole morto?”
Ci ha riflettuto un attimo. “Ecco, non andiamo molto d’accordo, ma questo mi pare vada un po’ oltre…”
“Non è stata sua moglie”.
[Jack Ritchie, Il grande giorno, traduzioni di Sandro Ossola e Claudia Tarolo, Milano, Marcos y Marcos 2018, pp, 9-10]