venerdì 11 Ottobre 2013
Sono davanti alle ceramiche igieniche internazionali, impettito e indecoroso, e sto pisciando. Ed ecco sento una spazzola leggera che percorre affettuosamente la mia schiena. Non ci credo, e tuttavia non v’è dubbio: qualcuno in quel momento mi sta spazzolando. Mormoro qualcosa, tento di schermirmi, mi sento degradato a livello di potente della terra. Quando, un istante dopo, mi sto lavando le mani, qualcuno con grazia e inefficienza mi spazzola le scarpe. Lo guardo, è piccolo, magro, tra olivastro e nero: ha il tocco leggero e ama produrre sensi di colpa tra i clienti dell’aeroporto. Naturalmente, sono a Manila; più esattamente, sto per partire, e questo paese tetramente sorridente, docile e magro, si congeda con un gesto che potrebbe essere infimo, ma che non manca della malinconica, ironica dignità che sempre si riconosce nell’astuzia dei poveri e degli oziosi. Mi abbottono e corro verso l’inshallah delle linee aeree pakistane.
[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 56]
lunedì 9 Settembre 2013
Arrampicato in cima al cielo, l’aereo guarda in giù. «Che strano,» mi dice «mi sembra di essere a Torino». Assento. Non è bene contraddire gli aerei. D’altra parte un aereo ha uso di mondo, viaggia, si fa delle idee. Ad esempio, questa stravaganza: che questa cosa enorme, geometrica, questo disegno che si spalanca come una mappa sotto di noi, questo rigido ideogramma sia in qualche modo Torino, o insomma abbia del torinese. Conoscete Torino; strade rettilinee, angoli retti, piazze rettangolari, nell’insieme l’idea di una geometria fatta città. Ma questa sotto di noi non è Torino, è Pechino; anzi come presto impareremo a dire, è Beijing, un nome strano, che non ha la grazia da operetta di «Pechino», un nome che mi fa sentire invecchiato. Come si può rinunciare ad un nome laccato, scintillante ed esotico come «Pechino»? Beijing è cupo, sordo, senza scintillii. Ma, mentalmente, dove siamo? A Pechino, o a Beijing?
[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 227]
domenica 18 Agosto 2013
Quando uscirono i miei articoli sul viaggio in Cina, un lettore mi scrisse per chiedermi come si faceva ad andare in Cina; non gli risposi, e ancora me ne cruccio, perché la mia risposta sarebbe stata come segue: in primo luogo, lei vada a Ferrara; poi copri un paio di bretelle; ah, mi raccomando, debbono essere bretelle blu. Poi chiacchieri con gli amici, se ne faccia. Alla fina riparta e tenga il telefono pronto sul tavolo. Un giovedì il telefono squillerà e qualcuno le chiederà «Domenica è libero? Andrebbe in Cina?». A me le cose sono andate in questo modo, e questo spiega la mia riluttanza a dare delle «spiegazioni».
[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelphi 2013, p. 293]
mercoledì 7 Agosto 2013
Accadono eventi stravaganti in una vita: innamoramenti, lotterie, terremoti, rime inspiegabilmente perfette. Qualche giorno fa mi è giunto un invito: vuole venire a Baghdad? Si dà il convegno dei poeti arabi, non la interessa? Mi interessa; ma non posso negarlo: sono incredulo. Ma è vero; schietto, autentico Baghdad. Dico ai miei amici che vado in Abruzzo, dove sono considerato di casa, e vado a Baghdad.
Quattro ore di volo; un grande, lucido, efficiente aeroporto; una Francoforte del Medio Oriente; ma semivuoto. Già, la guerra. È la prima domanda che tutti fanno; «tutti» sono gli invitati: noi italiani siamo in tre. Dov’è la guerra?
[Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti, Milano, Adelhpi 2013, p. 213]