Bisognerebbe farne a meno
Da parte mia, non avevo nulla da leggere. Prevedevo un viaggio di sette o otto ore nel più fitto silenzio. Ero ben deciso a discorrere.
«Sapete a che ora giungeremo alla frontiera?».
Ripensando a quella conversazione, non mi sembra che fosse una domanda particolarmente insolita. È vero che la risposta non mi interessava punto; volevo solo fare una domanda che rompesse il ghiaccio e non fosse, nello stesso tempo, alcunché di curioso o impertinente. Il suo effetto sullo sconosciuto fu invece notevole. Mi lanciò un lungo sguardo strano, e la sua espressione parve irrigidirsi un poco. Era lo sguardo di un giocatore di poker quando indovina che l’avversario ha in mano un colore e gli conviene quindi andar cauto. Alla fine rispose, parlando in modo lento e guardingo.
«Temo di non sapervelo dire con esattezza. Fra un’ora circa, credo».
Il suo sguardo, assente per un attimo, si oscurò di nuovo. Uno spiacevole pensiero parve importunarlo come una vespa; mosse lievemente il capo, per scacciarlo. Poi soggiunse, con sorprendente petulanza:
«Tutte queste frontiere… un’orribile seccatura».
Ero piuttosto incerto su come interpretare la cosa. Mi balenò il pensiero che si trattasse di una specie di blando internazionalista; forse un membro della League of Nations Union. Azzardai perciò, incoraggiante:
«Bisognerebbe farne a meno».
«Sono proprio del vostro parere. Bisognerebbe farne a meno, senz’altro».
[Christopher Iserwood, Il signor Norris se ne va, traduzione di Pietro Leoni, Milano, Adelphi 2016, pp. 12-13]