lunedì 23 Luglio 2012
Una scelta stilistica del suo racconto “Chissà se possiamo” è la mancanza di segni di interpunzione nei discorsi diretti, ce la può motivare? Anche le continue ripetizioni vogliono rimarcare le nevrosi del protagonista?
Per la mancanza di virgolette, io scrivo senza virgolette dal 1999, e adesso non mi ricordo perché, di preciso, ma mi sembra che quando ho letto i primi romanzi di Luigi Malerba, dove per il discorso diretto non ci son virgolette, ho pensato che era un bellissimo modo,di rendere il discorso diretto, con la maiuscola a indicare l’ingresso della voce, e mi sono ricordato di un paio di russi dei primi del novecento che avevo studiato (Velimir Chlebnikov e Daniil Charms) che anche loro spesso facevano così, non usavano virgolette e (non solo per questo) mi piacevan moltissimo. Per via delle ripetizioni, proprio stamattina ho letto il pensiero numero 25 dei Pensieri di Pascal che comincia così (metto le virgolette): «Quando in un discorso si trovan parole ripetute e, tentando di correggerle, esse appaion così appropriate che a sostituirle lo si guasterebbe, bisogna lasciarle stare».
[due domande sul racconto Chissà se possiamo, uscito in un’antologia di Guanda sulla follia]
lunedì 5 Marzo 2012
e erano i primi di marzo, e c’erano diciotto, venti gradi, e fino a pochi giorni prima c’erano stato meno otto, meno cinque, e la neve si era appena sciolta, si era appena liberato il cancello del cortiletto che circonda la mia casa, avevo appena ricominciato a andare in giro in bicicletta, e il mondo sembrava come tornato in assetto; i rumori, eran tornati i rumori, la gente si era rimessa a parlare e i locali (si ricominciava a sedersi all’aperto) diffondevano per la strada ciascuno la propria musica, attraverso delle casse montate sopra alla porta e a me, in questa stagione dell’anno veniva in mente un mio amico che una volta mi aveva detto che avrebbe voluto fare un referendum contro la musica di sottofondo, e avevo pensato che in caso di referendum io ero d’accordo, ma che era difficile, e che si poteva più facilmente, magari, fare una campagna, e che per il convegno sul nulla, per esempio, io avevo immaginato un logo con una piccola scritta che dicesse Non guardate qui che non c’è scritto niente, e per la musica di sottofondo si sarebbero forse potuti fare degli adesivi con sopra scritto Questo locale è desottofondizzato
[Pezzetto di un racconto che si chiama Chissà se possiamo]