Le palpebre
[Copio qua sotto una recensione al nuovo romanzo di Ammaniti pubblicata ieri su Libero. È un po’ lunga]
Mi sembra che il modo migliore per dare un’idea del romanzo Che la festa cominci, di Niccolò Ammaniti, appena uscito per Einaudi Stile libero (pp. 328, euro 18,00), sia paragonare le metafore e le similitudini usate da Ammaniti e quelle usate dal finlandese Kari Hotakainen nel suo romanzo Via della Trincea (traduzione di Nicola Rainò, p. 366, euro 16,00), appena uscito anche lui per Iperborea. Fare proprio due elenchi.
In Ammaniti: «assomigliava a una testuggine a cui hanno sfilato il guscio e infilato una tunica bianca» (pag. 22); «si copriva di gioielli etnici neanche fosse una principessa berbera il giorno dell’incoronazione» (pag. 49); «in quel momento era spiritoso e vivace come un profugo ugandese» (pag. 118); «Fabrizio si strappò dalla spalla un arancino come se fosse una sanguisuga infetta» (pag. 132); «Elena Paleologo Rossi Strozzi sembrava /…/ un pigmeo con il verme solitario» (pag. 134); «la Somaini emise un verso simile al richiamo del chiurlo in amore» (pag. 135); «da sotto il cappuccio spuntavano /…/ due occhi grigi e freddi come una giornata d’inverno sul mar Caspio (pag. 138); «Fabrizio adorava le donne idiote, si abbeverano alla sua personalità come frisone a un fontanile” (pag. 150); «il libro era salito in vetta alle classifiche con la stessa violenza con cui lo space shuttle entra nella ionosfera» (pag. 152); «una modella era così bianca che sembrava morta da tre giorni» (pag. 162); «per poco non inciampò in una radice spessa quanto un anaconda» (pag. 219); «Sasà Chiatti con i suoi novanta chili ondeggiò e parve resistere all’impatto, ma poi come un grattacielo a cui hanno minato le fondamenta cadde giù» (pag. 271). Continua a leggere »