Monumenti

domenica 7 Luglio 2013

buzzi

 

 

 

 

 

 

 

Altre malattie diffuse: le emorroidi, che un amico di Čechov curava tenendo nella tasca dei pantaloni un marrone di castagno d’India; e il tifo petecchiale, causato dall’immenso numero di pidocchi viventi allora in Russia, che eguagliava quello delle cimici e degli scarafaggi. Il pidocchio è stato il potente alleato di Kutuzov contro i francesi di Napoleone e, dopo la vittoria, avrebbe come lui meritato di ricevere dallo zar l’ordine di San Giorgio di prima classe e un monumento sul Nevskij Prospèkt.

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, Milano, Mondadori 1994, p. 97]

Gor’kij

giovedì 16 Maggio 2013

aldo buzzi

 

 

 

 

 

 

 

 

Gor’kij (Aleksej Maksimovič Peškov) era molto (troppo) apprezzato da Lenin (che non tollerava Dostoevskij) e da Stalin. Anche Gide esagerò, nel discorso che fece nella piazza Rossa ai funerali dello scrittore: «Nessuno scrittore russo è stato più universalmente ascoltato. […] Egli prende il suo posto accanto ai più grandi».

Miglior giudice fu Tolstoj: «La madre non vale nulla». Anche Čechov: «Ho letto il finale di I tre, il romanzo di Gor’kij. Qualcosa di veramente bislacco. Se non l’avesse scritto Gor’kij, nessuno starebbe a leggerlo». Era amico di Gor’kij ma vedeva con chiarezza i suoi difetti. «Ancora un consiglio» gli scrive in una lettera. «Leggendo le bozze, cancellate, dove è possibile, gli attributi e gli avverbi. Voi mettere tanti attributi che il lettore difficilmente si raccapezza, e si stanca».

Gor’kij significa l’amaro.

«È amaro!» è il grido che risuona di continuo durante i banchetti nuziali. Ordina agli sposi di baciarsi.

«Ma scusate, che è mai questo? L’aringa è amara… e il pane è amaro. Non si può mangiare! Tutti: “È amaro! È amaro!” (Gli sposi si baciano)» (Čechov)

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio e altri viaggi, Milano, Mondadori 1994, p. 126-127]

E poi?

martedì 8 Gennaio 2013

Nonno: «Sta’ fermo, dove vuoi andare? Non vedi che è buio fuori? Fuori c’è il lupo… che ti mangia. Se caschi, qui in stassione non c’è il dottore».
Nipotino: «Non c’è il dottore?».
Nonno: «No, non c’è».
Nipotino: «E l’imbulansa?”.
Nonno: «Neanche l’imbulansa. Se caschi muori».
Nipotino: «E poi?».
Nonno: «E poi sei morto».
Nipotino: «E poi?”».
Nonno: «E poi vai al cimitero».
Nipotino: «E poi?».
Nonna (abbracciando teneramente il nipotino): «E poi ti mettono sottoterra».

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, Milano, Mondadori 1994, pp. 70-71]

L’università

martedì 10 Gennaio 2012

Čechov racconta che «un noto lirico, procedendo per la Mochovaja, dove era l’Università, abbassava il finestrino della carrozza e sputava sull’Università». Il motivo di questo disprezzo, espresso in modo tipicamente russo, non è riferito. «Il cocchiere» dice «era così abituato che ogni volta, passando davanti all’Università, si fermava.»

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit., p. 117]

Termine di paragone

lunedì 12 Settembre 2011

Sorprendente anche l’uso che del cetriolo come termine di paragone fanno gli scrittori russi: il principe (Anna Karenina) «conservava una freschezza che poteva essere paragonata a quella di un grosso cetriolo olandese, verde e lucido». Perfino una bella ragazza può essere paragonata (da Čechov) a un cetriolo: «Siete molto carina, […] mi ricordate un cetriolo salato di fresco; esso, per così dire, sa ancora di serra, ma giù racchiude un pochino di sale e il profumo del finocchio».

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit., pp. 107-108]

Gončarov e Lenin

venerdì 2 Settembre 2011

Gončarov, l’autore di Oblomov, e Lenin erano nati entrambi nella lontanta Simbirsk, sul Volga, che in onore di Lenin oggi si chiama Uljanovsk. Diceva Oblomov: «Io non mi sono mai infilate le calze da me, da che vivo, grazie a Dio!». E Lenin diceva: «La missione della mia vita è combattere Oblomov» e dietro Oblomov vedeva milioni di russi abituati a non fare nulla, «incapaci», come diceva Trockij, «di fare alcunché senza gli strati inferiori, senza la forza operaia, senza la carne da cannone, senza attendenti, domestici, furieri, autisti, facchini, cuochi, lavandaie, deviatori, telegrafisti, palafrenieri, cocchieri».

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit., p. 116]

Anche di gabinetti

sabato 28 Maggio 2011

Čechov si è occupato anche di gabinetti. «Come è noto» dice «la maggioranza dei russi tiene in assoluto disprezzo questo tipo di comodità. Nei villaggi non ci sono affatto gabinetti; nei monasteri, alle fiere, nelle locande e in ogni tipo di industria sono semplicemente schifosi». In Siberia il gabinetto si riduceva a un robusto bastone: per difendersi dai lupi.
Nel corso di un viaggio Čechov dormiva, in mancanza di meglio, in un vagone ferroviario di seconda classe abbandonato su un binario morto. «Durante la notte» scrive «sono sceso dal vagone per un bisognino e fuori era un’autentica meraviglia… La luna, la steppa sconfinata con i tumuli e il deserto; un silenzio di tomba, i vagoni e le rotaie che spiccavano nitidi nella penombra; il mondo sembrava morto.»

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit,. pp. 95-96]

I russi

venerdì 27 Maggio 2011

I russi come me li immaginavo dai romanzi (e dalle traduzioni): coi capelli rossi, come quasi tutti i personaggi di Čechov e Dostoevskij (perfino le mucche nei campi hanno il pelo rosso). Di solito tisici. Si raschiano spesso la gola. Si inchinano fino a terra. Si chiamano tra loro babbino, mammina, colombello, fratello, benefattore, Alta Nobiltà. Battono il piede in terra, come cavalli, quando si arrabbiano. Sputano in terra in segno di disprezzo. Vivono in genere al quarto piano (dei traduttori, che è il terzo). Passeggiano non su e giù ma da un angolo all’altro (della stanza).

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit,. pp. 91-92]

Non regge

sabato 30 Aprile 2011

È un ragionamento che non regge. Infatti, la terra di atterrare non indica il pianeta Terra ma semplicemente una superficie solida qualsiasi; come «a cavallo» si può essere non solo di un cavallo ma anche di un mulo, di un somaro, o di altre bestie, come la tigre, ancora più diverse dal cavallo iniziale. Oppure, per essere logici, vogliamo dire «a somaro» di un somaro?
Se fosse giusto allunare per la Luna, si dovrebbe dire avvenerare per Venere, ammartare per Marte, assaturnare per Saturno, applutonare per Plutone e, essendovi teoricamente miliardi di «punti di atterraggio», bisognerebbe, teoricamente, usare miliardi di verbi diversi per dire la stessa cosa.

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit., pp. 53-54]

In realtà

giovedì 28 Aprile 2011

In realtà, la parola deriva dal portoghese marmelada, che però significa marmellata di marmelos, cioè di mele cotogne. Di conseguenza, dicendo «marmellata di arance» si commette lo stesso errore (teorico) di quando si dice «bistecca di maiale», dato che bistecca (beefsteak) vuol già dire bistecca di manzo; oppure di quando si dice «a cavallo di un mulo», oppure «si asciugava i capelli con un asciugamano». Sono errori teorici, in pratica va benissimo così. L’ultimo di questi apparenti errori, cioè «atterrare sulla Luna», è stato corretto inventando il verbo allunare. Se sulla Terra si atterra, dicono, sulla Luna si alluna.

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio, cit., p. 53]