C’è chi taglia e cuce brache, chi i leoni addestra in gabbia
Quando io ero piccolo i libri gialli eran libri che non si vendevano quasi nelle librerie, si vendevano prevalentemente nelle edicole, e se un italiano scriveva un giallo, sceglieva spesso uno pseudonimo americano, come succede adesso coi romanzi rosa, mi dicono, come se i romanzi gialli non fossero considerati romanzi che facevano parte, a pieno titolo, della nostra tradizione letteraria.
Io, devo dire, avevo, da appassionato di letteratura russa, un atteggiamento snobistico, nei confronti dei gialli, non mi sembravano all’altezza di quel che piaceva a me, la vera letteratura, e mi ricordo che mi era molto piaciuto, una volta, un libraio di Campobasso che condivideva con me questo fastidio per l’inarrestabile successo dei gialli e che mi aveva detto che quando un lettore entrava nella sua libreria e gli chiedeva «Mi consiglia un bel giallo?» lui gli dava Delitto e castigo, di Dostoevskij.
Che era stata una cosa che subito aveva soddisfatto il mio snobismo, ma dopo, a pensarci, l’aveva messo un po’ in crisi perché il comportamento di quel libraio significava, tra le altre cose, che anche Delitto e castigo, era un giallo, cioè che il pedale della trama, la curiosità su come finisce il delitto di Raskol’nikov, lo prendono o non lo prendono?, erano un pedale sul quale Dostoevskij aveva giocato e una curiosità alla quale anch’io, come lettore, avevo soggiaciuto, se così si può dire. Continua a leggere »