lunedì 14 Novembre 2011
Quand’ebbi dodici anni, mia madre mi annunciò: «Ho fatto domanda di iscrizione per te a Marlborough e a Repton. Dove preferisci andare?»
Erano entrambi famosi collegi privati, ma questo era tutto quanto ne sapevo. «Repton» dissi. «Andrò a Repton». Era più facile da pronunciare che Marlborough.
«D’accordo» disse mia madre «Dunque andrai a Repton».
[Roald Dahl,Boy, cit., p. 143]
lunedì 23 Agosto 2010
Quando mio padre aveva quattordici anni, cioè sempre più di cent’anni fa, stava sul tetto della sua casa sistemando alcune tegole fuori posto, quando scivolò e cadde, rompendosi il braccio sinistro sotto il gomito. Qualcuno corse a cercare un dottore, e mezz’ora dopo questo signore fece la sua maestosa e avvinazzata comparsa sul suo calesse. Era così ubriaco che scambiò il gomito fratturato per una spalla lussata.
«La rimettiamo a posto in un baleno!» esclamò e fece salire due uomini dalla strada per aiutarlo a tirare. Li istruì che tenessero mio padre per la vita mentre il dottore lo afferrava per il polso del braccio rotto e sbraitava: «Tirate, gente, tirate più forte che potete!»
Il dolore dev’essere stato atroce. La vittima gridava e sua madre, che assisteva inorridita allo spettacolo, strillava: «Smettetela!». Ma ormai quegli energumeni avevano fatto un tale danno che una scheggia dell’osso era uscita dall’avambraccio.
Questo accadeva nel 1877 quando la chirurgia ortopedica non era quella di oggi. Così, senza storie, amputarono il braccio all’altezza del gomito e per il resto della sua vita mio padre dovette cavarsela con un braccio solo. Fortunatamente il braccio perduto era il sinistro e a poco a poco, con l’andar del tempo, lui imparò a fare più o meno tutto usando soltanto la mano destra. Riusciva ad allacciarsi le stringhe delle scarpe con la stessa disinvoltura di tutti noi e per tagliare il cibo nel piatto aveva fatto affilare un lato della forchetta così che gli serviva contemporaneamente da forchetta o da coltello. Teneva questo ingegnoso strumento in un astuccio piatto di pelle che si portava sempre in tasca.
[Roald Dahl, Boy, traduzione di Donatella Ziliotto, Milano, Salani 1992, pp. 11-12]