venerdì 4 Novembre 2022
Signor Hrabal, qual è la cosa che ama di più?
La birreria. Si potrebbe dire che si tratta di una specie di riflesso condizionato, Pavlov potrebbe tranquillamente liberare i suoi cani e condurre i suoi esperimenti sul signor Hrabal. Appena arrivano le sette di sera, comincio a guardarmi intorno in cerca del cappello o del berretto e il punto non è che ho voglia di andare in birreria, ma che non posso proprio farne a meno. Più volte mi sono trovato davanti al dilemma morale di scegliere tra una passeggiata in compagnia di una bella fanciulla o la birreria. E finora ha sempre la birreria.
[Bohumil Hrabal, Compiti per casa. Riflessioni e interviste, a cura di Alessandro Catalano, traduzione di Laura Angeloni, Torino, Miraggi 2022, p. 98]
martedì 19 Maggio 2020
Ho inchiodato rotaie, fatto il capostazione, offerto polizze assicurative, ho lavorato come commesso viaggiatore, operaio di acciaieria, imballatore di carta da macero e macchinista teatrale. Quello che volevo era sporcarmi con l’ambiente, con la gente comune, e trovarmi a vivere, ogni tanto, l’esperienza sconvolgente di scorgere la perla sul fondo dell’essere umano.
[Bohumil Hrabal, La perlina sul fondo, a cura di Alessandro Catalano, traduzione di Laura Angeloni, Torino, Miraggi 2020 (foto di Hana Hamplová)]
domenica 15 Aprile 2018
In un libretto intitolato Bohumil Hrabal spaccone dell’infinito, c’è una conversazione tra Hrabal e alcuni suoi conoscenti.
Tra questi c’è anche il birraio della birreria di Praga U zlatého tygra (Dalla tigre d’oro), che dice: «La Tigre d’oro è come il terzo domicilio di Hrabal. Il primo è il suo appartamento, la seconda è la casa di campagna, il terzo è la Tigre d’oro. Tutti i giorni, da lunedì a giovedì. Vengono da tutto il mondo per farsi fare una dedica».
Qui Hrabal racconta, tra le altre cose, come scrive: «Quando non scrivo, è allora che scrivo di più. Quando passeggio, quando cammino, quando faccio un monologo interiore, quando assorbo non solo quello che sento e che è interessante ma anche ciò che matura dentro di me». Poi batte a machina, e dopo aver battuto a macchina «prendo le forbici – è questo il momento più bello – taglio tutto, e lo assemblo, prendo i fogli e metto all’inizio quello che c’era alla fine. Lavoro come un regista nella sala di montaggio, poi lo incollo tutto insieme e vado avanti finché non è finito. E allora di nuovo esco e vado in giro per le birrerie, è solo nella taverna che i discorsi si muovono».
Sembra frutto di questo procedimento di maturazione e montaggio Lezioni di ballo per anziani e progrediti, che, per la cura di Giuseppe Dierna, viene ora proposto da Einaudi nella collana Letture.
È il terzo libro di Hrabal, uscito, in origine, nel 1964, pochi mesi dopo i primi due, per la casa editrice Československý spisovatel (Lo scrittore Cecoslovacco), ed è il monologo di un vecchio calzolaio praghese, al quale «Baťa in persona» aveva spedito il decreto di nomina «perché lavorassi da lui, perché rimettessi in piedi la sua ditta».
Tomàš Bat’a è il fondatore della celebre azienda calzaturiera, un signore che raccomandava ai suoi impiegati di non leggere romanzi russi, e che aveva fatto scrivere sul muro del gommificio, a caratteri cubitali: I ROMANZI RUSSI UCCIDONO LA GIOIA DI VIVERE.
Questo vecchio calzolaio aveva fatto anche il maltatore, cioè l’addetto al maltaggio nella produzione della birra, e il soldato «nel più bell’esercito del mondo», l’esercito austriaco quando l’Austria era l’Impero austroungarico e Praga era una città austroungarica, ma la sua passione sono le belle donne, che lui chiama Sventolone.
Di sé ci dice che, quando era giovane, «avevo un’energia che da sola sarebbe bastata a illuminare Praga per un’intera settimana»; erano tempi in cui «non c’era la televisione, per cui le persone si dovevano fare ogni cosa da sole, ivi compresa la radio». «All’emporio avevo visto una serie di flaconcini marca Peru Tannin che favorivano la crescita rigogliosa dei capelli, – racconta il calzolaio – sulle bottigliette c’erano le due figliolette del suo inventore con i capelli fin oltre le caviglie, bisogna però dire che l’Austria non ci teneva neanche così tanto a una rigogliosa crescita dei capelli quanto invece ad averci un seno rigoglioso, alcune ce ne avevano così tanto da essere costrette a portare sulle spalle uno zainetto con dentro un mattone, per non precipitarsene tutte in avanti, tale era la forza di trascinamento, erano davvero qualcosa di straordinario quelle grazie enormi». Alle sventolone il calzolaio si prendeva la licenza di fare delle scarpe rosse di coppale, anche a quelle che avevano un occhio di vetro, «e questa non è una cosa piacevole, perché poi voi non sapete quello che ci può combinare lei con quell’occhio, un cappellaio mi aveva detto che era stato al cinematografo con una tipa del genere, quella aveva starnutito e l’occhio le era volato via, e durante l’intervallo avevano dovuto cercarlo sotto alle poltrone, e quando poi lei l’aveva ritrovato gli aveva dato una lustratina, aveva sollevato la palpebra, e zappete! una strizzatina dell’occhio ed era fatta». Il calzolaio, però, non si era mai sposato, perché «io per il matrimonio non ho tendenze criminali sufficientemente sviluppate».
Racconta Derna che pochi mesi dopo l’uscita del libro (che fu, insieme ai due che l’avevano preceduto di pochi mesi, «un successo senza precedenti», con 60.000 mila copie vendute in poco tempo), alla casa editrice era arrivata una lettera firmata Antonín Šebek, dottore in medicina, che diceva che lui, tempo prima, aveva lavorato in un manicomio, e avevo trovato il quaderno d’un paziente, e l’aveva letto. «E lí dentro c’erano parole affastellate senza alcuna logica o senso, proprio come nel libriccino di Hrabal». « Adesso, – scrive Šebek – dopo aver letto le Lezioni di ballo, rimpiango parecchio di non aver offerto alla casa editrice Československý spisovatel quella creazione letteraria, Quale gigantesca perdita ha patito la letteratura ceca, o forse la letteratura universale, quando ho gettato il quaderno nel cestino della carta straccia!».
Ecco, io, dopo aver letto Lezioni di ballo, sono d’accordo col dottor Šebek, una gran perdita.
[Uscito ieri su Tuttolibri]
domenica 8 Aprile 2018
Sto scrivendo una cosa su un libro di Hrabal, che era un cliente della birreria U zlatého tygra, La tigre d’oro, credo significhi, e mi è venuta in mente la prima volta che sono stato a Praga, nel 2001, e ho cercato U zlatého tygra, e l’ho trovata, e sono entrato, mi sono seduto, e, senza che ordinassi niente, il birraio mi ha portato una birra e un foglietto, dove ha tracciato una lineetta. Un po’ dopo, avevo finito la birra, il birraio me ne ha portato un’altra, e ha tracciato un’altra lineetta. Allora ho capito che, se volevo che smettesse di portarmene, dovevo dirglielo. Se non dicevo niente, lui portava.
domenica 8 Aprile 2018
Rilascio delle interviste… all’ospedale: se mettete un registratore sotto il mio letto per due o tre ore, io racconto ai miei compagni di stanza tutto quello che so: le storie strane, l’estetica, tutto. /…/
Quando non scrivo, è allora che scrivo di più. Quando passeggio, quando cammino, quando faccio un monologo interiore, quando assorbo non solo quello che sento e che è interessante ma anche ciò che matura dentro di me.
Il monologo interiore diventa una necessità di scrivere, è una forma di confessione /…/, come se qualcuno mi dettasse, e il mio unico ruolo fosse quello di ricopiare.
[Bohumil Hrabal, Spaccone dell’infinito, trad. di Zuzana Schnöblingova e Alexandra Vlada Mastero, Hestia, Cernusco Lomb., s. d., pp. 19, 30 ]
venerdì 1 Settembre 2017
Mio nonno poi, perché la mela non cadesse lontana dall’albero, faceva a sua volta l’ipnotizzatore e lavorava nei piccoli circhi, e tutta la città vedeva nelle sue ipnosi il desiderio di fare più che poteva la vita dello scioperato. Quando però i tedeschi in marzo passarono le nostre frontiere per occupare l’intero paese e avanzavano in direzione di Praga, soltanto il nonno andò loro incontro, soltanto il nonno andò ad opporsi ai tedeschi come ipnotizzatore, ad arrestare i carri armati in avanzata con la forza del pensiero. E così il nonno camminava sulla strada con gli occhi fissi sul primo carro che guidava l’avanguardia di quelle truppe motorizzate. E su quel carro, dentro la torretta fino alla vita, stava un soldato del Reich, in testa aveva il berretto nero col teschio e le tibie incrociate, e mio nonno continuava ad avanzare dritto verso quel carro, aveva le braccia distese e con gli occhi iniettava ai tedeschi il pensiero fate dietrofront e tornate indietro… e davvero, quel primo carro armato si fermò, tutto l’esercito restò fermo, il nonno con le dita toccava il carro armato e continuava a trasmettere lo stesso pensiero… fate dietrofront e tornate indietro, fate dietrofront, e poi il colonnello con la bandierina fece segnale e il carro armato partì, ma il nonno non si mosse e il carro lo investì, gli strappò la testa, e niente più impediva il passo all’esercito del Reich. E mio padre andò a cercare la testa del nonno. Quel primo carro armato era rimasto fermo fuori Praga, aspettava una gru per la rimozione, la testa del nonno era incastrata tra i cingoli e i cingoli erano avvolti in modo che che papà ottenne di poter rimuovere la testa del nonno e poi seppellirla col corpo come si conviene a un cristiano. Da allora in tutta la regione la gente litigava. Gli uni gridavano che il nonno era matto, gli altri invece he non poi tanto, che se tutti si fossero opposte come il nonno ai tedeschi con le armi in pugno, chissà come sarebbe finita, coi tedeschi.
[Bohumil Hrabal, Treni strettamente sorvegliati, traduzione di Sergio Corduas, Roma, e/o 2011, p. 14]
domenica 1 Gennaio 2017
Alla nostra cittadina si addice di più il buio. Quel tempo in cui sono accese le vetrine di tutte le botteghe e dei negozi, quando si cominciano a tirar giù le serrande, quando la gente che lavora nei negozi in qualche modo diventa più bella perché davanti a sé ha libera la sera e una parte della notte. In ogni commesso e commessa ho visto come vendono, ma i loro occhi già si spostano lentamente verso l’orologio e sorridono alle lancette che gli dicono, ancora un momento e basta lavoro, soltanto un momentino.
[Bohumil Hrabal, Illuminazione pubblica, traduzione di Francesco Brignole, in Opere scelte, Milano, Mondadori 2014, p. 1261]
martedì 20 Maggio 2014
SZIGETI Signor Hrabal, racconti, per cortesia: quando è entrato nel mondo dei libri e della letteratura?
HRABAL Da bambino naturalmente, e penso che anche il mio ingresso nella letteratura, quello che ho avuto da leggere da bambino, abbia determinato alla fine tutta la mia evoluzione. Il mio primo libro è stato un sillabario. Quando ho imparato a leggere, mi hanno regalato un libro particolare che si intitolava Cialtrone di un cialtroncello. È la vicenda di un ragazzo ostile e cattivo, che però grazie a certe forze esterne, simili a gnomi, alla fine diventa un ragazzo perbene. E io non mi proiettavo affatto nel ragazzo perbene, io mi identificavo nel Cialtrone, e quel libro dovevo proprio amarlo perché ce l’ho a casa, e nessuno l’ha letto, solo io, ed è completamente sfasciato.
[Bohumil Hrabal, Dribbling stretti. Intervista, traduzione di Alessandra Trevisan, in Opere scelte, Milano, Mondadori 2014, a cura di Sergio Corduas e Annalisa Cosentino, p. 1303]
mercoledì 14 Maggio 2014
In una pozzanghera vedo l’oceano, quanto nuoto in mare mi macero nella nostalgia del laghetto del bosco di Kopidlno, in un mucchio di sabbia vedo alte montagne, quanto ero sullo Jungfrau avevo nostalgia del Poggio di Senice. Per questo preferisco stare in casa, dove ho nostalgia dell’osteria, e in osteria invece penso a com’è bello stare a casa e sognare di andare in osteria, dove ho nostalgia della mia bella casa. Sempre più mi piace stare dove non sono.
[Bohumil Hrabal, Quadernetto dell’attenzione che non distingue, traduzione di Francesco Brignole, in Opere scelte, Milano, Mondadori 2014, a cura di Sergio Corduas e Annalisa Cosentino, p. 1303]
domenica 11 Maggio 2014
A volte quando mi alzo, quando mi desto dal sopore, mi fa male l’intera stanza, tutta la mia camera, mi fa male guardare dalla finestra, i bambini vanno a scuola, la gente va a fare la spesa, sanno tutti dove andare, solo io non so proprio dove andare, intontito mi vesto, barcollo, saltello su una gamba dei pantaloni mentre me li infilo, e vado a farmi la barba col rasoio elettrico, da quanti anni ormai, mentre mi rado, non mi guardo allo specchio, mi rado al buio o dietro l’angolo, sto seduto su una sedia nel corridoio e la spina è nel bagno, ormai mi guardo malvolentieri.
[Bohumil Hrabal, Il flauto magico, in Opere scelte, Milano, Mondadori 2014, a cura di Sergio Corduas e Annalisa Cosentino, p. 1381]