Una raccomandata da Brescia

giovedì 12 Dicembre 2019

Tra le cose minuscole, insignificanti, che hanno una certa rilevanza nelle nostre giornate, sul nostro umore, sullo stato del nostro sistema nervoso, c’è la relazione con l’autorità, che, nel mio caso, non è quotidiana. Faccio un mestiere strano, lo scrittore, nel quale, in sostanza, comando io; non ho diretti superiori, e, nel caso non mi piacciano, o non mi convincano, ho la fortuna di poter rinunciare alle collaborazioni che mi vengono proposte.
Anch’io, però, come tutti, ogni tanto ho a che fare con l’autorità, mi è successo per esempio un paio di giovedì fa. Un paio di giovedì fa sono andato a far la spesa, son tornato a casa, ho trovato nella cassetta delle lettere un avviso di raccomandata.
Che son quelle cose che, a me, mettono in agitazione, come i bollettini delle tasse da pagare, che, se non le pago subito e le metto in un angolo della mia casa, poi quell’angolo diventa un angolo dal quale mi viene da stare lontano, come se fosse una parte dolorante, di casa mia.
Brescia CMP, c’era scritto. Atti giudiziari.
«Cosa avrò mai fatto, a Brescia?», mi sono chiesto. Io abito a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna, e son degli anni, che non vado a Brescia, forse l’ultima volta è stato diciotto anni fa, a presentare un libro. «Non sarà, per caso», mi sono chiesto, «che ho scritto di qualcuno di Brescia che magari se l’è presa e mi ha querelato?». Sono vent’anni, che scrivo dei libri e degli articoli, che qualcuno mi quereli, dopotutto, non è impensabile. Anche uno che abita a Brescia, perché no? E mi è venuta un’idea strana.
Poco più di vent’anni fa, ho pubblicato il mio secondo romanzo, che si intitola Bassotuba non c’è, il cui protagonista, che si chiamava Learco Ferrari, era uno che aveva poco più di trent’anni e non riusciva a entrare nel mondo dei grandi (a lui sarebbe piaciuto che lo prendessero dentro come scrittore, cioè di mestiere voleva far lo scrittore), e siccome aveva avuto a che fare, nel suo percorso universitario, con un congruo numero di allievi del filosofo Gianni Vattimo, si era convinto che la resistenza del mondo al suo ingresso dipendesse da una congiura degli allievi di Vattimo, e, non conoscendo Vattimo, era andato in biblioteca per provare a capire che tipo era.
Da una foto pubblicata nel retro di un libro di Vattimo, gli era sembrato che a Vattimo piacesse bere, e la cosa gli era in un certo senso stata confermata dalla definizione che Vattimo dava di «Pensiero debole». Il pensiero debole (cito): «ha con dialettica e differenza una relazione che non è principalmente o soltanto di “superamento” ma piuttosto si definisce attraverso il temine heideggeriano di Verwindung, termine esso stesso comprensibile solo entro una visione “debole” di cosa significhi pensare».
A Learco Ferrari, questa definizione di Vattimo era sembrato il delirio di un alcolizzato; ma non aveva dato un giudizio definitivo, aveva detto forse.
«Forse (cito) bisogna indagare il Verwindung heideggeriano. Forse, se uno capisce il Verwindung heideggeriano, dopo gli si chiarisce tutto. Come bere un bottiglione di Amaro Averna. Chissà».
Comunque poi lui, Ferrari, dopo aver sfogliato questi libri redige una biografia di Vattimo, che, su richiesta dell’angelo custode (ha un angelo custode che si chiama Karmelo) riassume così: «Vattimo Giovanni, nato a Torino nel 1936, segno zodiacale: Cancro. A ventotto anni diventa professore di estetica all’università di Torino. Come abbia fatto, non si capisce: questo periodo della vita del Vattimo è avvolto nelle nebbie della creazione. Comunque egli, il Vattimo, fin dai primi tempi del suo insegnamento manifesta una insolita e smodata passione per le bevande alcoliche. E, in preda ai fumi dell’alcol, scrive cose incomprensibili. Dopo va a lezione e le legge ai suoi studenti. Gli studenti gli dicono Maestro, non abbiamo capito. Lui gli dice Dovete bere! Bere, dovete! Con lui, se non bevi, sei finito. Non c’è via di scampo. Agli esami, la prima domanda che ti fa è Cos’hai bevuto, stamattina? Quattro Campari, devi rispondere. Fammi sentire il fiato, dice. Non si fida. Qui sento del Sanbittèr, dice, altro che Campari. Torna quando avrai imparato a bere! Maestro, gli dice lo studente, non posso bere, ho dei problemi al fegato. Vergogna! Fuori da questa università! E così ha tirato su tutta una generazione di alcolizzati». Ecco.
Quando ho scritto queste cose, era la fine del 1998, non avevo mai incontrato di persona Gianni Vattimo e non avevo idea delle sue abitudini, non sapevo se bevesse o no, era un modo che mi piaceva di significare la paranoia del protagonista che credeva di essere vittima di una fantomatica associazione di allievi di Vattimo, e che ne pativa la presenza quotidiana (la sua fidanzata, la Bassotuba del titolo, l’aveva lasciato per un allievo di Vattimo).
Ma quando poi il libro è uscito per Einaudi Stile Libero, nel 2000, e quando l’ufficio stampa di Einaudi mi ha chiesto di fare una presentazione a Torino con Vattimo, io ho detto che l’avrei fatta volentieri, solo che poi, non ho sentito più niente, dopo qualche settimana ho chiesto «Ma la presentazione con Vattimo la facciamo?», e dall’ufficio stampa mi han detto «È meglio di no». Allora ho capito che a Vattimo il mio libro non era tanto piaciuto. E ho sperato, devo confessarlo, che Vattimo mi querelasse. Che una querela, devo dire, per un libro, soprattutto una querela immotivata, può essere una buona cosa, pensavo (e lo penso ancora). Non son mai riuscito, a farmi querelare, con i miei libri. E due giovedì fa, devo confessare, ho ricominciato a sperare. Perché Bassotuba non c’è, quel vecchio libro, nel febbraio del 2020, ventun anni dopo la sua prima uscita, uscirà per gli oscar Mondadori, e io ho pensato «Vuoi vedere che Vattimo, nel frattempo trasferitosi a Brescia, ha saputo della ristampa per gli Oscar Mondadori e, stanco di questa ventennale persecuzione, ha deciso finalmente di sporgere querela?». E giovedì sono andato in posta pieno di speranza solo che mi han detto che la raccomandata si poteva ritirare da venerdì. Solo che io venerdì ero a Milano e son tornato sabato e sabato pomeriggio la posta era chiusa e sono riuscito a andare a ritirare la raccomandata solo lunedì, dopo tre giorni che, nella mia testa, ripassavo la mia testimonianza difensiva al processo, dove avrei letto ai giurati la definizione del pensiero debole e avrei detto: «Voi la capite? Be’, spiegatemela, se la capite». Poi lunedì sono andato in posta. Era il primo lunedì del mese, c’era pieno di pensionati che «tiravano la pensione», come diceva mia nonna. Cinquantadue minuti di coda. Arrivato il mio turno, ho detto all’impiegata delle poste «Ho un atto giudiziario che viene da Brescia, chissà cos’è». «Le nostre raccomandate vengono tutte da Brescia, lì c’è il nostro centro di meccanizzazione», mi ha detto lei. «Ah», ho detto io. Ho ritirato la raccomandata, l’ho aperta lì, nell’ufficio postale. Veniva dal comune di Montechiarugolo. Bon avevo pagato il saldo della Tasi per la nostra casa di campagna nel 2015 (11 euro). E c’era un F24 da saldare entro 60 giorni. Importo dovuto, 26 euro. 11,48 dei quali per spese di notifica: la raccomandata. Che delusione.

[Uscito ieri sulla Verità]

Il ventunnale

venerdì 29 Novembre 2019

Io sono quello che non ce la faccio.

[Bassotuba non c’è esce il 20 febbraio 2020 per gli Oscar Mondadori 21 anni dopo la prima uscita del 1999]

Ventunnale

giovedì 24 Ottobre 2019

Dici che scrivi, che cosa scrivi?
Io ultimamente mi sto specializzando in un genere particolare: i riassunti.
Riassunti?
Riassunti.
Cosa riassumi?
Io ultimamente più che altro mi sono messo a riassumere delle avventure a fumetti.
Fumetti?
Fumetti.
Che fumetti?
Io ultimamente riassumo soltanto avventure a fumetti di Braccio di Ferro.
Braccio di Ferro?
Braccio di Ferro. Ma solo le storie scritte da Segar, quelle che vanno dal 1919 al 1938.
E sono belle?
Bellissime.
Questa è una conversazione da bar, in un bar che hanno aperto qui a Parma, d’estate, dentro un convento nel centro della città. A quel bar lì ci va della gente che pensa di essere molto alla moda, à la page. Allora fanno tutte queste domande: Tu cosa scrivi, di cosa ti occupi.
Molte volte dicono: Interessante. Molte volte dicono: Pasolini. Molte volte dicono: Wim Wenders. Ti piace Pasolini?, chiedono. Ti piace Wim Wenders?.
Alla domanda su Pasolini non dico niente: faccio partire la testa verso destra, poi le faccio fare una curva stretta ma morbida, com’è disegnata e la porto a sinistra, la fermo in salita. Alla domanda su Wenders dico di sì, che mi piace. Quando mi chiedono i film gli dico di no, che non li conosco.
Allora come fai a dire che ti piace Wim Wenders?
Wim Wenders, gli dico, mi piace il suo nome. Che lui ha un nome di battesimo che se lo ribalti di centottanta gradi, si legge uguale.

[A febbraio del 2020, dopo 21 (ventuno) anni dalla prima uscita, esce la riedizione, negli Oscar Mondadori, di Bassotuba non c’è, in occasione del ventunnale]

Vent’anni

martedì 19 Marzo 2019

Io sono quello che non ce la faccio.
Io sono stanco, anzi, stanchissimo. La vita moderna ha dei ritmi e delle pretese che tenerci dietro, io non ce la faccio. Oppure no.

[Sono vent’anni che è uscito Bassotuba non c’è]

Come stasera

giovedì 12 Febbraio 2015

Quando devo andare in un posto di solito arrivo con mezz’ora d’anticipo, quando, come stasera, ho l’impressione di essere in ritardo, arrivo con un quarto d’ora d’anticipo, per arrivare puntuale dovrei stare malissimo, credo, sarebbe una sofferenza che la mia soglia del dolore non è attrezzata, per sopportare una cosa del genere, credo.
Dopo stasera, che ho letto Tolstoj, le Memorie di un pazzo, dal libro Tre matti, dopo che ho letto alla fine una signora è venuta dritta da me mi ha detto che lei ha appena letto Bassotuba non c’è che non le è piaciuto «Ma lei, – mi ha chiesto, – perché scrive così?».

Tecniche di adulazione

venerdì 28 Novembre 2014

Ieri da Amazon mi è arrivata una mail che mi proponevano di comperare Siamo buoni se siamo buoni, La banda del formaggio, Bassotuba non c’è e La Svizzera. Le inventano tutte, ho pensato.

Un ebook

giovedì 21 Novembre 2013

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Clic, Clic

Un ebook

lunedì 18 Novembre 2013

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Stanotte ho dormito per tutta la notte sul braccio sinistro. Quando mi sono svegliato, il braccio sinistro era addormentato completamente. Non riuscivo a muoverlo. Quando mi sono svegliato ho pensato E adesso, cosa ne faccio, di questo braccio? Mi sono alzato da letto, il braccio mi veniva dietro come un pezzo di carne attaccato al mio corpo. Mi ha seguito in bagno. Mi ha seguito in cucina. Poi si è svegliato.

[Bassotuba non c’è, in ebook, tra qualche giorno esce per Sugaman]

Ma guarda

venerdì 27 Settembre 2013

bassotuba non c'è

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando ero piccolo c’è stato un momento che in casa nostra i soldi erano diventati un problema serio. Io mi ricordo una volta che mi si erano rotti i jeans, per via che ero ingrassato, dovevo comprarmi un paio di jeans nuovi, è saltata fuori la storia che non potevo comprare dei Levi’s. Non sei mica figlio di Barilla, mi diceva mamma. Questa faccenda dei padri e dei figli non l’ho mai capita. Non sei mica figlio di Barilla. Lo so, che sono figlio di Renzo Ferrari, cosa ti credi? Se lo sai, mi diceva mia mamma, sai anche che i Levi’s te li devi scordare. E con questo sembrava che la discussione fosse finita. Ma non mi aveva mica convinto. Neanche Filippelli, dicevo, è figlio di Barilla, è figlio di Filippelli. Però, Filippelli i Levi’s ce li ha. Filippelli è figlio di un ingegnere, diceva mia mamma. E basta. Niente Levi’s. Non mi aveva mica convinto. Comunque, Lee Cooper.

Questa storia dei figli di Barilla non mi è mai andata giù. A parte che mi piacerebbe sapere se si dice così anche dalle altre parti. Per esempio, a Milano, si dice Non sei mica figlio di Rizzoli? A Napoli, si dice Non sei mica figlio di Lauro? Allora, a Modena, si dirà Non sei mica figlio di Ferrari. Ecco, a Modena avrei potuto rispondergli Invece son proprio figlio di Ferrari, te lo dico. Ecco. Se fossi nato a Modena, la mia infanzia sarebbe stata un’infanzia felice. Che non mi avrebbe mai contraddetto nessuno. Comunque questa storia dei padri e dei figli, c’è in giro della confusione. Che una certa persona, che per un po’ di tempo, occasionalmente, si è trovata a dividere con me questa casa, e che è meglio non nominare, lasciamola dove sta, poco tempo prima che succedesse quello che poi è successo mi ha detto Sei stato bravo, a pubblicare. Non ci credevo, mi ha detto, che ci riuscivi, che non sei figlio di nessuno. Primo, non ho ancora pubblicato, pubblico in gennaio. Secondo, sono figlio di Renzo. Terzo, come cazzo ragioni?

 

 

1 giugno – Tallinn

sabato 1 Giugno 2013

Sabato 1 giugno,
a Tallinn,
alle 15:00,
dentro il quinto
Tallinn Literature Festival
“HeadRead”
a Tallinn,
Unione degli scrittori estoni,
Harju, 1,
Bassotuba non c’è,
con Heidi Grenzen