giovedì 9 Aprile 2015
Occorre non ripetere le parole e le frasi imparate a memoria, ma parlare genuinamente, e anzi non parlare, ma cantare, e non una cosa qualsiasi, ma quel che vien da cantare, che di volta in volta erompe dal petto rigonfio in modo nuovo o, comunque, con suoni nuovi da scoprire, ricreando ogni volta tutto di bel nuovo. Allora ci sarà «una lingua transmentale universale», un linguaggio-canto da cuore a cuore, «una lingua di suoni transmentale» senza condizioni e convenzioni, somigliante ai suoni della natura, una lingua che scorre da un’anima aperta ed entra direttamente nell’altra anima aperta che le è d’incontro, una lingua sincera, come un grido di disperazione o un urlo di dolore, fresca come un’esclamazione di gioia, infantilmente ingenua e nello stesso tempo noumenicamemnte saggia. Chi non ha sognato una lingua così?
[Pavel A. Flroenskij, Attualità della parola, a cura di Elena Treu, Bergamo, Guerini e associati 1989, pp. 76-77]
venerdì 15 Febbraio 2013
Il fattore creativo, individuale, originale della lingua, l’eco personale da parte di tutto l’essere – ecco ora, ad esempio, la mia eco personale in risposta a questo particolare fenomeno del mondo – la lingua insomma come creata nel farsi stesso del discorso, e soltanto come tale, conduce, attraverso la pura emotività, verso il trans-razionale e dal trans-razionale verso l’inarticolazione, perdendosi in suoni naturali come rumori, battiti, sibili, bisbigli e gridi. L’immediatezza della lingua si converte inevitabilmente in qualcosa di incomprensibile e senza senso. Al contrario, il fattore monumentale, collettivo della lingua, semplicemente in quanto sociale, generale, in quanto interamente esistente grazie a tutti, ovvero la lingua come a me concessa dalla comunità sociale, a me ceduta solo in uso, ma nient’affatto mia, insomma la lingua appunto e solo in quanto tale conduce, attraverso la razionalità, alla convenzionalità e dalla convenzionalità all’arbitrio del produttore della lingua e lì si avvilisce, nella ristrettezza della ragiona segregata. Entrambe le vie, ciascuna a modo suo, annientano la lingua e, stando alle osservazioni pratiche condotte sulla lingua, bisogna riconoscere l’indissolubilità dell’antinomia linguistica. La contradditorietà rientra infatti nella natura della lingua, è anzi un suo tratto sostanziale: per essa vive ed esiste la lingua. I due pilastri della lingua si sostengono reciprocamente e, per la rimozione di una delle due forze contrastanti, anche l’altra è destinata a cadere. La lingua non solo ha in sé queste opposte tendenze in lotta, che si realizza come equilibrio instabile tra i princìpi del moto e della quiete, dell’attività e dell’inerzia materiale, dell’impressionismo e della monumentalità.
[Pavel Florenskij, Attualità della parola, traduzione di Maria Chiara Pesenti e Elena Treu, Milano, Guerini e Associati 1989, p.120-121]