domenica 23 Dicembre 2018
Negli ultimi anni abbiamo sentito dire spesso da diversi politici europei che l’Europa non è solo una comunità d’interessi economicamente definiti, ma qualcosa di più, in altre parole, la promotrice di valori culturali che vanno sostenuti e difesi. Naturalmente sappiamo che nel linguaggio politico “qualcosa di più” normalmente significa “qualcosa in meno”.
[Boris Groys, Art Power, traduzione di Anna Simone, Milano, Postmedia 2012, p. 195]
lunedì 24 Luglio 2017
Dai primi anni Trenta sino alla caduta dell’Unione Sovietica, il realismo socialista è stato l’unico metodo creativo ufficialmente riconosciuto per tutti gli artisti sovietici. Le varietà di teorie estetiche concorrenziali che avevano caratterizzato l’arte sovietica negli anni Venti, finirono bruscamente il 23 aprile 1932 quando il Comitato Centrale approvò un decreto che smantellava tutti i gruppi artistici attivi, mentre coloro che facevano lavori creativi dovevano essere organizzati in base alla professione in “sindacati creativi” composti da artisti, architetti ecc… Il realismo socialista fu proclamato metodo obbligatorio durante il Primo Congresso del Sindacato Scrittori nel 1934, poi esteso a tutte le altre forme artistiche, incluse le arti visive, senza modifiche sostanziali. Secondo la definizione ufficiale, un’opera d’arte realista socialista doveva essere “realista nella forma e socialista nei contenuti”. Per quanto sembri semplice in realtà questa definizione è molto enigmatica. Come può una forma essere realista? E che significa veramente “contenuto socialista”? Interpretare questa vaga dichiarazione in una pratica artistica concreta non era un’impresa facile, ma le risposte a queste domande hanno stabilito il destino di ogni artista sovietico. Questo sanciva per gli artisti il diritto di lavorare e, in alcuni casi, quello di vivere.
[Boris Groys, Educare le masse. L’arte realista socialista, in Art Power, traduzione di Anna Simone, Milano, Postmedia 2012, p. 159]