Dopo poi

sabato 8 Novembre 2008

Dopo poi stamattina intanto che stiravo ho messo su un cidì di cori dell’armata rossa, e la seconda canzone si intitolava Pole, che significa campo, e cominciava pianissimo e poi cresceva cresceva e a un certo punto ti sembrava di essere in mezzo a una bufera, e poi calava calava e poi cresceva cresceva ancora fino alla bufera e poi calava calava e finiva in niente.
Ecco, quella canzone lì, da un certo punto di vista ti sembrava proprio di essere a stirare in mezzo a un campo, da un altro punto di vista se durava tre quarti d’ora, io ero contento.
E ho pensato che a me succede così con molte canzoni popolari, che, potenzialmente, sono infinite, come Battagliero, di Tienno Pataccini, o come i giri di fiati della Kocani orchestra, che le due volte che li ho sentiti suonare son venuto fuori con un buon umore che chissà da dove veniva.
E le bufere, in effetti, poi dopo, sono così, cioè smettono ma poi ricominciano, sono infinite.
E dopo poi ho pensato che quella cosa lì di essere in mezzo a una bufera, io mi sentivo come nella mia condizione, non so come dire, naturale, vitale, e mi è venuto in mente Celati che da qualche parte scrive che noi, quello che siamo, degli animali esposti all’aria che tira.