28 marzo – Bologna

mercoledì 28 Marzo 2018

Mercoledì 28 marzo
a Bologna,
in fiera,
alle 11,
al Translators Café (sic)
Pad. 21 Stand B/81,
con Fabian Negrin
parliamo di Van’ka
di Anton Čechov,
se non mi sbaglio.

Una boccetta di inchiostro

martedì 27 Marzo 2018

Van’ka Žukov, un ragazzo di nove anni che da tre mesi era stato messo a bottega dal calzolaio Aljachin, la notte prima di Natale non era andato a dormire. Dopo avere aspettato che i padroni e gli apprendisti uscissero per andare a messa, aveva tirato fuori dall’armadio del padrone di casa una boccetta di inchiostro, una penna con il pennino arrugginito e, steso davanti a sé un foglio di carta tutto spiegazzato, aveva cominciato a scrivere. Prima di tracciare la prima lettera, aveva gettato uno sguardo timoroso alla porta e alle finestre, aveva guardato di traverso l’icona scura, ai lati della quale si stendevano gli scaffali con le forme per le scarpe, e aveva strascicato un sospiro. La carta stava su uno sgabello, e lui ci si era messo davanti in ginocchio.

[Anton Čechov, Van’ka, illustrazioni di Fabian Negrin, Roma, orecchio acerbo 2018, pp. 7.8]

Goccia a goccia

domenica 25 Marzo 2018

[Sono stato a vedere una cosa, a teatro, che si intitolava Il giardino dei ciliegi, ma un po’ così, per finta, e mi è venuto in mente questo pezzetto che ha scritto Čechov, che è quello che ha scritto Il giardino dei ciliegi vecchio, non questo nuovo che ho visto io oggi, il vecchio]

Quello che gli scrittori aristocratici ottengono gratis, gli intellettuali borghesi lo acquistano a prezzo della loro giovinezza. Provate un po’ a scrivere la storia di un giovane, figlio di un servo della gleba, che è stato garzone di bottega, cantore in chiesa, allievo di ginnasio, studente universitario, spesse volte frustato, educato a venerare le gerarchie, a baciar la mano ai popi, a inchinarsi alle idee altrui, a profondersi in ringraziamenti per ogni boccone di pane; di un giovane che andava a dar ripetizioni senza galosce, s’azzuffava con i compagni, pranzava con piacere dai parenti ricchi, era ipocrita con Dio e con gli uomini senza nessun bisogno, solo perché consapevole della propria nullità. Provate a raccontare come quel giovane sia riuscito a strizzare fuori, goccia a goccia, il servo che ha in sé, e come destandosi un bel mattino, sente che nelle sue vene non scorre più sangue di servo ma vero sangue di uomo libero.
(Lettera a Suvorin, 7.I.1889)

[Fausto Malcovati, Il medico la moglie l’amante (come Čechov cornificava la moglie-medicina con l’amante-letteratura), Milano, Marcos y Marcos 2015, p. 35 ]

Non c’è niente da dire

giovedì 15 Giugno 2017

Il vecchio si era grattato la fronte, aveva guardato in su, con gli occhi rossi, verso Egóruška, e aveva continuato.
– Maksìm Nikolàič, il padrone di Slavjanosérbsk, anche lui l’anno scorso ha mandato suo figlio a studiare. Non so come è lì, con la scienza, ma come ragazzo, non c’è niente da dire, è bravo… Che Dio gli dia la salute, son dei bravi signori. Sì, anche lui l’han mandato a studiare… A Slavjanosérbsk non c’è un istituto dove, come si dice, profondire la scienza. Non c’è… Ma la città, non c’è niente da dire, è bella… Una scuola normale, per fare degli studi normali, quella lì c’è, ma per una scienza più profondita, quella lì non c’è mica… No, davvero. Come ti chiami?

[La steppa di Čechov, edizioni Quodlibet, esce oggi, se non mi sbaglio]

Vuoi tornare indietro?

lunedì 5 Giugno 2017

– Vuoi tornare indietro? – aveva chiesto Kuz’mičóv.
– Sì… voglio… – avevo risposto Egóruška singhiozzando.
– E torna indietro. Tanto è inutile, ti rimandano poi ancora via.
– Non è niente, non è niente, caro… – continuava padre Chrístofor. – Chiedi aiuto a Dio. Anche Lomonósov era partito così, coi pescatori, poi però è diventato un uomo che lo conoscevano in tutta Europa. L’intelligenza, unita alla fede, dà dei frutti che piacciono a Dio. Come si dice nella preghiera? «Per la gloria del Creatore, per la consolazione dei genitori, per il bene della chiesa e della patria»… Ecco.
– Il bene poi dipende … – aveva detto Kuz’mičóv, accendendo un sigaro a buon mercato. – C’è della gente che studia vent’anni e non risolve poi niente lo stesso.
– Succede.
– C’è chi la scienza gli fa bene, e chi lo confonde e basta. Mia sorella, una donna che capisce poco, cerca di fare come fanno i nobili e vuole che Egórka diventa uno scienziato, e non capisce che io, coi miei affari, potrei farlo contento per tutta la vita, a Egórka. Mi spiego: se tutti diventavano scienziati e nobili, allora nessuno commerciava più, nessuno seminava il grano. Morivano tutti di fame.
– Me se tutti commerciassero e seminassero il grano, allora nessuno più capirebbe le scienze.
E convinti tutti e due di aver detto delle cose convincenti e solenni, Kuz’mičóv e padre Chrístofor avevano fatto una faccia seria e avevano tossito contemporaneamente. Déniska, che aveva ascoltato i loro discorsi e non ci aveva capito niente, aveva scosso la testa e, dopo essersi tirato su, aveva frustato tutti e due i cavalli bai. Tacevano tutti.

[Anton Čechov, La steppa, tradotto io, con un testo di Fausto Malcovati, Macerata, Quodlibet 2017, esce il 15 giugno]

Non sapere una cosa del genere

giovedì 4 Maggio 2017

– Dica, per cortesia, – aveva detto Ivàn Ivànyč a un vecchietto che era seduto davanti a un negozio: – dov’è qui, la casa di Anastàs’ja Petróvna Toskunóvaja.
– Non ce n’è, di Toskunóvye, qua. – aveva detto il vecchio dopo averci pensato. – Timošénko, forse?
– No, Toskunóvaja…
– Scusi, di Toskunóvye, non ce n’è.
Ivàn Ivànyč aveva alzato le spalle e si era avviato per andare oltre.
– Ma cosa cerca a fare? – gli aveva gridato dietro il vecchietto. – Se dico che non c’è, vuol dire che non c’è.
– Ascolta, cara, – aveva detto Ivàn Ivànyč a una vecchia che a un angolo della strada, a una bancarella, vendeva dei semi di girasole e delle pere, – dov’è qui la casa di Nastàs’ja Petróvna Toskunóvaja?
La vecchia l’aveva guardato stupita e era scoppiata a ridere.
– Adesso va a finire che Nastàs’ja Petróvna sta a casa sua? – aveva chiesto. – Signore benedetto, son già otto anni, che ha sposato sua figlia e ha lasciato la casa a suo genero. Adesso lì ci abita suo genero.
E i suoi occhi dicevano: «Ma voi, coglioni, come fate a non sapere una cosa del genere?».
– E adesso lei dove abita? – aveva chiesto Ivàn Ivànyč.
– Signore benedetto! – si era stupita la vecchia, e aveva battuto le mani tra di loro. – In un appartamento in affitto, abita, ma da tanto tempo. Son già otto anni, che ha lasciato al casa a suo genero! Eh!
Probabilmente si aspettava che anche Ivàn Ivànyč si stupisse e esclamasse «Ma è incredibile!», invece lui, molto calmo, aveva chiesto:
– E dov’è il suo appartamento?
La commerciante si era rimboccata le maniche e, indicando con la mano, si era messo a gridare con una voce sottile e acuta:
– Andate sempre dritto, dritto, dritto… Quando trovate una casetta rossiccia, allora sulla sinistra c’è un vicoletto. Allora voi prendete quel vicoletto e andato al terzo portone sulla destra…

[Anton Čechov, La steppa, capitolo 8]

Dove

sabato 24 Dicembre 2016

Anton Čechov, Vita attraverso le lettere

Scrivi: «Dovunque mi caccio, non vedo che muri». Ma dove ti sei cacciata?

[Anton Čechov, Vita attraverso le lettere, traduzione di Gigliola Venturi e Clara Coïsson, Torino, Einaudi 1989, p. 277]

Compressa

mercoledì 16 Novembre 2016

Padre Chrístofor d’un tratto si era ricordato qualcosa, aveva sbuffato nel bicchiere e si era messo a tossire perché il riso gli era andato di traverso. Mojséj Mojséič, per cortesia, si era messo a anche lui a ridere e a tossire.
– Che ridere! – aveva detto padre Chrístofor e aveva agitato una mano. – Viene a trovarmi il mio figlio più grande Gavríla. È medico, e lavora nel governatorato di Černigóv, nello zémstvo… Be’, insomma, io gli dico «Ecco, gli dico, ho un po’ il fiato corto, tu sei medico, cura tuo padre». Allora mi fa spogliare, mi bussa, mi ausculta, dice delle sciocchezze… Tasta la pancia e poi dice: «Lei, papà, dovrebbe curarsi con l’aria compressa».
Padre Chrístofor era scoppiato a ridere in modo convulso, fino alle lacrime, e si era alzato.
– E io gli dico: «Dio sia con lei, la tua aria compressa!» – aveva balbettato tra le risate e agitando entrambe le mani. – Dio sia con lei, la tua aria compressa!
Mojséj Mojséič si era alzato anche lui e, prendendosi la pancia, era scoppiato in una risata rumorosa che sembrava l’abbaiare di un cane maltese.
– Dio sia con lei, la tua aria compressa! – aveva ripetuto padre Chrístofor ridendo.
Mojséj Mojséič rideva due toni più sopra ed era scosso da un riso così convulso che stava in piedi a malapena.
– Oh, Dio mio, – gemeva tra le risate, – Lasciatemi respirare. Mi diverto tanto, che, oh, muoio!

[Anton Čechov, La steppa, capitolo III]

Una canzone

martedì 15 Novembre 2016

Nel momento in cui Egóruška stava guardando i volti dei dormienti, si era sentito d’un tratto un cantare sommesso. Da qualche parte, poco lontano, una donna cantava ma dove fosse, e in che direzione, era difficile dirlo. La canzone sommessa, monotona e malinconica, simile a un pianto e appena percettibile, si sentiva ora a destra, ora a sinistra, ora dall’alto, ora da sotto terra, come se la steppa fosse stata percorsa da uno spirito invisibile che si era messo a cantare. Egóruška si era guardato intorno e non capiva da dove venisse quella strana canzone; poi, a forza di ascoltare, aveva cominciato a sembrargli che fosse l’erba, a cantare; nella sua canzone, semimorta, quasi andata, senza parole, lamentosa, sincera, cercava di convincere qualcuno che non era colpa sua, che il sole l’aveva bruciata senza una ragione; assicurava di avere un’appassionata voglia di vivere, che era ancora giovane e che sarebbe stata anche bella, se non ci fossero stati il caldo e la siccità; non aveva colpe ma chiedeva lo stesso perdono a qualcuno e giurava che provava un dolore insopportabile e che era triste e si compiangeva…
Egóruška aveva ascoltato ancora un po’ e gli era sembrato che per quella malinconica, monotona canzone, l’aria fosse diventata più calda, più soffocante e più ferma… Per far tacere la canzone, canticchiando e cercando di fare rumore coi piedi era corso fino al carice. Da lì aveva guardato da tutte le parti e l’aveva trovato, chi cantava. Vicino all’isba più lontana del piccolo villaggio c’era una donna con una sottana corta, con delle lunghe gambe sottili, come un airone, che setacciava qualcosa; dal setaccio scendeva lento dal poggio un pulviscolo bianco.

[Anton Čechov, la steppa, capitolo II]

Leggo tanto

sabato 27 Agosto 2016

Anton Čechov, Vita attraverso le lettere, traduzione di Gigliola Venturi e Clara Coïsson, Torino, Einaudi

Oggi mi son tagliato i capelli! Sono stato in città per la prima volta dopo la malattia, sono andato malgrado gelasse (-2°) e mi son fatto tagliare barba e capelli – questo per il caso d’un tuo arrivo. Tu sei severa,bisogna avere un aspetto decente, decoroso.
Maša ha assunto una cuoca. Io, si può dire, non scrivo nulla, esattamente nulla! Ma non amareggiarti, a tutto si fa in tempo. Ho già scritto undici volumi, uno scherzo da nulla! A quarantacinque anni ne avrò scritti venti. Non prendertela, tesoro, moglie mia! Io non scrivo, però leggo tanto, che presto diventerò intelligente.

[Anton Čechov, Lettera a Ol’ga L. Knipper del 3 gennaio 1902, in Anton Čechov, Vita attraverso le lettere, traduzione di Gigliola Venturi e Clara Coïsson, Torino, Einaudi 1989, p. 274]