domenica 25 Ottobre 2020
Leggete Le veglie alla fattoria presso Dikan’ka di Gogol’, e scoprirete che la gioia, la gioia infantile e teoretica, la gioia sacra del gioco esige che il mondo sia un duplice palcoscenico, un luogo nel quale si affollano, gomito a gomito, uomini, folletti, diavoli, Satana in persona, ostesse corrive e fanciulle annegate per amore protette da una dannazione inseparabile dalla dolcezza, dalla tenera, sollecita disperazione.
[Giorgio Manganelli, Leggere i russi, in Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, p. 214]
domenica 16 Agosto 2020
«S’era nell’agosto, ed in Iscaricabarilopoli, città moscosissima, nessuno aveva mai visto negli agosti precedenti tanta copia di mosche, tal quantità di mosconi, tanti stuoli di moscerini, tali turbe di mosconcini, tal novero di mosconacci, tal moltitudine di mosconcelli, tanta folla di moschette, tanta adunanza di moscini, tanto popolo di moschettine, tanta frequenza di moscherelle, tanto spesseggiare di moscherini, tanto concorso di moschini, tanto esercito di mascolini e tanta folla di mosconi. Scaricabarilopoli era tutta un moscaio. I signori salariavano persone apposta per moscare gli scacciamosche…» Quo fo sosta. La citazione che avete or ora letto è dell’Imbriani, ed è purissimo, schietto Imbriani; quell’Imbriani che, con il Dossi e il Faldella, è tra i massimi stravaganti del nostro Ottocento.
[Giorgio Manganelli, Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, p. 198]
martedì 3 Febbraio 2015
Tutti conoscono la vecchia leggenda dei Prossimani del diluvio. Secondo questa bella tradizione, il diluvio non devastò l’intero pianeta, ma solo una parte, la più prospera, ampia e fittamente popolata. Quando prese a piovere e i fiumi si ingrossarono e la gente prima inumidita, poi seccata, poi travolta si diede a inane fuga per campi, le tribù viciniori presero a deplorare la situazione. In ciò agevolati dal clima ragionevolmente sereno, gli uomini migliori di quelle razze si raccolsero in luoghi aprichi; erano uomini colti, intellettuali, fondatori delle arti, smaliziati manipolatori di sintassi. Si misero in capo di redigere un documento: il che sessi fecero presto e bene. In quel testo, costoro, rivolgendosi alle Nuvole – giacché rivolgere direttamente la parola all’iracondo Dio diluviante poteva prestarsi a interpretazioni che poi sarebbe stato difficile rettificare – «fecero notare» come fosse contrario ad ogni consuetudine piovere così a lungo, tanto e un posto solo; «deplorarono» la devastazione dei campi e delle greggi; e inserirono un pezzo sui bambini annegati che era cosa di grande e semplice bellezza. Proseguendo, ed anzi viva via incanagliendosi le piogge, i valentuomini si riunirono di nuovo, e – mentre un comitato di femminette preste di dita e conocchia si davano a far golfini – elaborarono un secondo documento, che era senza alcun dubbio accorato. In questo si «denunciava» l’indifferenza delle piogge alla pubblica opinione e si «reclamava» a) l’immediata cessazione del diluvio, b) la restituzione del ciel sereno, «inalienabile diritto di tutti i cittadini», c) l’impegno a non piovere più, se non nelle forme e nei limiti consacrati dalla tradizione. Il diluvio continuò, le brave donne allungarono i golfini adattandoli a comodi sudari, qualche dabbene scrisse una lettera aperta sulla «inutile strage», che ancora si legge nelle scuole. Si narra anche che mentre l’incaricato banditore a gran voce leggeva alle Nuvole il messaggio, più su il Numinoso Caprone si rotolasse sui bronzei pianciti dell’empireo, percotendoli con la latitudine delle arcaiche chiappe, e traendone un clangore di aureolata letizia.
[Giorgio Manganelli, Alcune ragioni per non firmare gli appelli, in Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, pp. 154 155]
venerdì 23 Gennaio 2015
«Leggere i russi» è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i «russi» sono i più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelle di liberarsi di un Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore, che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Čechov.
[Giorgio Manganelli, Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, pp. 211-212]
sabato 26 Novembre 2011
Eppure, guardatelo là, il lettore! Oblomov! Infaticabile debitore di fantasmi altrui, osservate come scippa un grande amore, come manomette un sogno di grandezza, come si adergono, miserabili trucchi, i minareti delle sue moschee interiori, che ha sottratto ad un libro in edizione economica, ritraduzione dal francese di un fastoso libercolo orientale! Ho usato tre esclamativi, e suppongo di avere esaurito il mio stock settimanale.
[Giorgio Manganelli, Antologia privata, cit., p. 66]
mercoledì 23 Novembre 2011
Io sospetto che voi siate, psicologicamente parlando, sani, e questo mi è insopportabile.
[Giorgio Manganelli, Antologia privata, cit., p. 187]
mercoledì 23 Novembre 2011
Di nuovo, sono stato risucchiato. Ho avvertito una lieve pressione alle vertebre cervicali, mi è arrivato alle narici un odore aspro di campagna concimata di recente, di bettole, di sobborghi torvi e tristi, di tenerissimi fiori appena sbocciati e odore di mucche, di cavalli, di carrozze coperte dalla muffa della morte, e infine l’aroma sacro del sangue, l’afrore della cosa uccisa o suicida. Oh, certo sono immagini, molto discordanti, addirittura senza senso, perché metterle tutte insieme? Diciamo che sono esibizionista – che sto diventando, come succede a molti, un personaggio di ciò di cui vorrei parlare: vorrei parlare infatti di quella esperienza violenta, malsana, indispensabile, unica, che dà il semplice gesto di «leggere i russi». L’ho scritto tra virgolette, perché leggere i russi non è mica una variante di tutti i mondi letterari, come leggere i ruteni, o magari gli italiani dell’Ottocento, eccettuato Manzoni, che, in questo momento, mi sembra un caso secolare di samizdat, di esule russo nel suo secolo.
«Leggere i russi» è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i «russi» sono i più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelle di liberarsi di un Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore, che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Cechov. Così accade che, periodicamente, nella vita, veniamo accolti da un attacco di «leggere i russi».
[Giorgio Manganelli, Antologia privata, Milano, Rizzoli 1989, p. 187]