Un’intervista
– Nel tuo secondo libro per bambini hai voluto avvicinare i più piccoli alla poesia?
No, non ho voluto avvicinare niente a nessuno, ho cominciato a scrivere ed è saltato fuori questo libro, dove, tra le altre cose, si parla di poesia, che è un argomento che mi interessa e con il quale credo anche i bambini abbiano a che fare. Quando poi il libro è finito e l’ho riletto, sono stato contento del fatto che c’eran finite tre cose, una poesia di Ramayana , una bambina di nove anni che ha scritto «Le mani che scrivono le poesie / sono le stesse mani / che fanno le pulizie», che a me sembra una poesia bellissima, e due cose che ha scritto un filosofo (quindi, si immagina, uno scrittore per grandi), Giorgio Agamben, che in un libro che mi è molto piaciuto e che si intitola Il fuoco e il racconto ha scritto due cose, per me, memorabili, la prima che la bellezza, cioè l’arte, cioè la poesia, se vuoi, non servono per rendere visibile l’invisibile, ma per rendere visibile il visibile, la seconda che un poeta è uno che è in balia della propria impotenza. Ecco, quest’ultima cosa io credo sia la chiave della Bambina fulminante, ammesso che il libro abbia una chiave.
– Perché hai scelto la divisione in dieci capitoli?
I capitoli sono undici, ma la domanda è molto interessante. La risposta è: non lo so.
– Ada è una bambina diversa dagli altri ma con una grande responsabilità.
Sì, Ada è una bambina che ha il potere di fare realizzare gli accidenti che tira alla gente, e questo comporta il fatto che deve star molto attenta a quello che pensa e a come lo pensa.
– Cosa cambia quando si scrive per i ragazzi rispetto ad un romanzo per i grandi?
Per me non cambia tanto, c’è la stessa sensazione di non esser capaci, si ha sempre l’impressione che non ci si riuscirà mai. La cosa che un po’ mi preme, di questo libro come del libro per ragazzi che ho scritto tre anni fa, che si intitola 13 favole belle e una brutta, è il fatto che, come nei libri per scrivo per grandi, c’è una sintassi e una grammatica non ortodosse, libere, mi vien da dire, che mi sembrano in armonia, se così si può dire, con le cose che ho provato a dire quando sono andato nelle scuole elementari a fare dei seminari di scrittura, che dicevo ai bambini e alle bambine che quando scrivono per la maestra è giusto che rispettino la grammatica e che stiano attenti ai tempi verbali e all’ordine delle parole e alle ripetizione e a tutto, ma quando scrivono per raccontare delle storie, la grammatica se la possono anche dimenticare: possono, se vogliono, usare le parole come usano i colori quando fanno un disegno, con la massima libertà, come vogliono e come gli viene.
– Ada potrebbe diventare la protagonista di altre storie?
Chissà.
[Intervista all’Ansa (a Maurina Capuano)]