E anche, benissimo, la Germania
L’altro giorno, martedì 23 settembre, alle diciotto, alla libreria Ambasciatori di Bologna c’è stato un incontro con Andrea De Carlo in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo che si intitola Cuore primitivo. L’ultima volta che l’avevo visto, De Carlo, che presentava un suo libro, era successo tredici anni fa, nel 2001, che era appena uscito Pura vita e la casa editrice di De Carlo, che allora era la Mondadori, aveva affittato un teatro, l’Arena del Sole, che De Carlo aveva praticamente riempito, un migliaio di persone alcuni anche organizzati in fan club, con De Carlo che aveva detto «Vi son venuto a vedere, oggi, al vostro punto d’incontro, eravate così carini». Suonava anche la chitarra, allora, De Carlo, con un percussionista nero che suonava i bonghi, non si capiva bene cosa c’entrava ma c’era un’aria, dentro quel teatro, che tutto quello che faceva De Carlo era ben fatto. A un certo punto, tra una suonata e l’altra, si era messo a parlare aveva detto che una volta, con una sua amica tedesca era andato in un ristorante e la tedesca non capiva bene una cosa, «Perché i tedeschi, – aveva detto De Carlo, – sono più precisi di noi italiani, noi italiani siamo più fantasiosi». O forse era il ristorante, che era tedesco, o forse era il cameriere, non mi ricordo, quel che mi ricordo che ci aveva spiegato, De Carlo, a noi mille e più, che i tedeschi eran più precisi di noi italiani che noi italiani eravam più fantasiosi cioè ci aveva trattato un po’ come dei deficienti, della gente che non aveva nessuna esperienza del mondo e alla quale lui, che invece aveva girato e conosceva un po’ tutto l’orbe terracqueo e anche, benissimo, la Germania, doveva dare una mano, un’indicazione, delle dritte, per così dire. Invece l’altro giorno, alla libreria Ambasciatori, c’erano una sessantina di persone, la maggior parte, tra l’altro, gente di una certa età, sessantacinque-settant’anni, un pubblico, non so come dire, di pensionati, o di prepensionati, tra i quali anche io che di anni ne ho cinquantuno ma ne dimostro di più. E rispetto a quella presentazione di tredici anni fa, la cosa che mi ha colpito è la scomparsa della figura del guru, per così dire, non c’era nessun guru, c’era un signore, over sessantenne anche lui ma molto in forma, molto ben conservato, il cui presentatore, un professore universitario, non si era presentato, non aveva potuto, e che era stato introdotto da Romano Montroni, il celebre libraio, che si era scusato ma lui il libro non l’aveva letto, e rivolto a noi del pubblico aveva chiesto «Chi di voi l’ha letto?», e solo uno aveva alzato la mano e De Carlo aveva detto «Non sono stupito, che non l’abbiate letto, è appena uscito». E Montroni gli aveva chiesto «Però, adesso, te, sai cosa fai? Fai da solo, ci racconti per filo e per segno il romanzo in modo che a questi signori gli vien voglia di comprarlo», e De Carlo, in un certo senso, ha obbedito, si è messo a raccontare il romanzo, ha spiegato perché si intitola Cuore primitivo, e cosa succede, e chi sono i tre protagonisti, e come comincia, non ha detto il finale, che Montroni si è anche raccomandato «Non dire il finale, mi raccomando», e lui non l’ha detto, era di un ubbidiente, non sembrava neanche lo stesso De Carlo che avevo visto tredici anni prima all’Arena del Sole l’unico momento in cui si è messo, un po’, ma appena appena, a predicare, a spiegare il mondo, è stato quando ha detto che lui, non che sia contrario all’elettronica, manda anche gli sms, però lui questi social network gli sembra che non sono affatto social, che facilitano invece la chiusura in se stessi, tutti questi iPhone, iPad, iPod, e l’ha detto come per dire che la i di iPhone, iPad, iPod significa io, rimanda all’io, alla chiusura in se stessi, che a me questa cosa non mi convinceva, sono andato a cercare in rete, ho trovato che quella i lì non vuol mica dire io, vuol dire internet, individui, istruzione, informazione e ispirazione, ed è stata introdotta per la prima volta nel 1998, per significare il primo computer portatile che poteva navigare in rete che si chiamava iMac. Che io, ho pensato poi alla fine l’altro giorno alla libreria Ambasciatori, questo De Carlo che dice delle cose anche sbagliate, che un po’ si confonde anche lui, e che si mette, in un certo senso, al servizio del libraio, e cerca, non so come dire, di guadagnarsi la pagnotta, a me ho pensato che mi piace di più, del De Carlo che era venuto tredici anni fa e che sapeva tutto lui e che suonava la chitarra e ci spiegava com’erano i tedeschi e com’eran gli italiani così se andavamo in Germania almeno sapevamo, un po’, come comportarci.
[Uscito ieri su Libero]