domenica 25 Gennaio 2015
Il celebre Gambardella prese la mano dell’amico e la strinse con effusione. Senonché, per un’improvvisa amnesia (ci andava soggetto), dimenticò di riaprir la propria mano e, il treno accelerando la corsa, Filippo Anderson con quel che segue fu portato via a volo come una sventolante banderuola.
«Ehi, ehi,» strepitava, «lasciami!».
E, credendo che il celebre Gambardella volesse fargli uno scherzo, gridava selvaggiamente che questi sono scherzi da scemi. E francamente non sapremmo dargli torto, ove realmente si fosse trattato d’uno scherzo. Ma noi tutti sappiamo che non era affatto uno scherzo.
«Mi pare» borbottava difatti Gambardella «che dovrei fare qualche cosa, ma non ricordo che cosa. Le solite amnesie!»
«Aprire la mano», gli suggerì un compagno di scompartimento.
«È vero!» esclamò Gambardella «me n’ero dimenticato.»
Ma ora il treno andava molto forte. Filippo Anderson del fu Giuseppe Allocco e di Carlo Rossi aveva cambiato idea.
«Non lasciarmi!» strepitava «Tienimi stretto!»
«Ora vuol esser lasciato, dopo un minuto vuole che lo si tenga. Che banderuola al vento!» osservò qualcuno.
Difatti, se c’era qualcosa a cui poteva esser paragonato il nostro personaggio, era proprio una banderuola al vento. E come garriva, nel vento della corsa!
Finalmente il celebre Gambardella si decise.
«Be’,» disse all’amico «non voglio trattenerti oltre. Ciao e buona permanenza.»
Aprì la mano e Filippo Anderson andò a sfracellarsi sulla scarpata.
[Achille Campanile, L’amnesia del celebre Gambardella, in Manuale di conversazione, Milano, Bur 2012, pp. 247-248]
sabato 24 Gennaio 2015
Il celebre Gambardella, dunque, prese posto in uno scompartimento di prima classe del direttissimo Parigi–Zagarolo e ritorno, dispose i bagagli sull’apposita reticella, indi, affacciatosi al finestrino, rimase in attesa che il treno si movesse.
Quand’ecco, vide arrivare lungo il marciapiedi una figura che non gli parve nuova.
Voi già immaginare che si trattasse del commendator Anselmo (vedi… be’, vedi qualche cosa, non so che cosa). Ebbene, signori, ho il dispiacere di dirvi che vi siete sbagliati. Avete preso un granchio, ma uno di quei granchi! Fenomenale, addirittura. Basta, non v’amareggiate per questo, può capitare a tutti, sono cose che succedono. E non state a scervellarvi per capire chi fosse quel tale, tanto non ci arriverete. Ve lo dico io: era Filippo Anderson del fu Giuseppe Allocco e di Carlo Rossi.
Filippo Anderson del fu Giuseppe Allocco e di Carlo Rossi era, come certo saprete, il miglior amico del celebre Gambardella, ed era venuto a salutarlo alla stazione. Difatti, s’avvicinò al treno e, rivolto al celebre Gambardella:
«Ciao,» disse «fa buon viaggio. Appena arrivato, scrivi. Domani…»
Che cosa voleva aggiungere?
È rimasto un mistero per tutti. Poiché in quel momento, allontanatosi il ferroviere che, al duplice grido di «Signori, in carrozza!» e «Attenzione alle mani» era andato fino a un momento prima sbatacchiando gli sportelli, il treno si mosse.
Filippo Anderson del fu Giuseppe Allocco e di Carlo Rossi ebbe appena il tempo di tendere la mano all’amico.
«Arrivederci!» gridò.
[Achille Campanile, L’amnesia del celebre Gambardella, in Manuale di conversazione, Milano, Bur 2012, pp. 247-248]
venerdì 23 Gennaio 2015
Anzitutto gioverà dire, per l’intelligenza dei lettori, che il celebre Gambardella di cui si parla nel presente racconto, non ha niente a che fare con gli altri Gambardella più o meno celebri, e non sono pochi, che girano per il mondo. Questo è un celebre Gambardella noto a pochi intimi. Anzi, diciamola com’è, perché la sincerità è sempre la miglior cosa: si tratta d’un celebre Gambardella che nessuno conosce. Ed ora, al fatto.
Un giorno, molti anni fa, il celebre Gambardella doveva partire. Affari? Turismo? Scopi galanti? Non s’è mai saputo. Fatto sta che quell’uomo noto in tutto l’orbe terracqueo a pochissimi privilegiati (anzi, diciamola com’è: a nessuno), andò alla stazione e, a causa d’una delle sue frequenti amnesie, la partenza fu funestata da un incidente che avrebbe potuto avere conseguenze ben meno gravi di quelle che sfortunatamente ebbe. Ma procediamo con ordine.
[Achille Campanile, L’amnesia del celebre Gambardella, in Manuale di conversazione, Milano, Bur 2012, p. 247]
venerdì 16 Agosto 2013
Purtroppo, ci sono i teppisti del telefono, che guastano ogni cosa. E io ho sempre tenuto a non essere scambiato per uno di costoro. Spesso avevo la pazienza di stare ore e ore al telefono, a chiamare tutta la città, per dire a ognuno: «Sapete, io sono un teppista del telefono». Pensate che mi credessero? I “Mascalzone!” all’altro capo del filo non si contavano.
Perciò, ripeto, ditemi tutto, ma non teppista del telefono; ditemi piuttosto ingenuo, ditemi illuso, ditemi sognatore, studioso, ammiratore appassionato dei grandi, sentimentale. E se è delitto essere queste cose, condannatemi. Ma condannatemi come sentimentale, non come teppista del telefono.
Ho detto queste cose ai giudici, ma non sono stato creduto. Mi hanno condannato lo stesso. Le ripeto adesso, quando poche ore soltanto mi separano dal momento dell’esecuzione. Fra poco dovrò rendere conto delle mie azioni davanti a un ben più alto giudice. Che ragione avrei di mentire, almeno con gli uomini? Non aspetto la grazia. Potete credermi, dunque.
Appena ebbi finito di leggere il manoscritto, corsi dal direttore delle carceri. Inutile aggiungere che, mercé questo documento, riuscii a ottenere la grazia per il condannato. Egli, debbo riconoscerlo, mi è rimasto molto grato. Ha per me un grande affetto, una devozione sconfinata. Ma ha paura che lo mandi al diavolo, se si mostra troppo attaccato. Perciò spesso mi chiama al telefono e, senza palesarsi, sta a sentire la mia voce.
Certe volte gli viene la nostalgia di riudire la voce del suo salvatore nel cuore della notte. Mi chiama, mi sveglia, mi costringe a rispondere al telefono. Non dice mai che è lui. Tace. Ma io lo indovino. D’altronde, che volete farci? È un sentimentale.
[Achille Campanile, Manuale di conversazione, Milano, Rizzoli 2012, pp. 236-237]
mercoledì 14 Agosto 2013
L’ultima volta – dirò meglio: l’unica volta; perché poi non ci rimisi più piede; e anche quella volta non ci sarei andato se non ci fossi stato condotto a viva forza – che visitai le carceri di W…, ebbi occasione di scambiare poche parole con un condannato a morte.
«Un pericoloso teppista del telefono,» mi spiegò a bassa voce il direttore, rispondendo all’occhiata con la quale gli avevo chiesto quali delitti avessero portato costui alla sedia elettrica.
Considerai con sincera pietà lo sciagurato. Egli, che certo lesse nei miei occhi i sentimenti umani che avevo a suo riguardo (ahimè, anch’io qualche volta sono stato un teppista del telefono – e chi non lo è stato almeno una volta nella vita? – ma l’ho fatta sempre franca), mi porse un manoscritto attraverso l’inferriata.
«Lo legga dopo la mia morte» disse.
Non obbedii al desiderio del condannato. Appena solo, volle dare un’occhiata al documento. Chi non l’avrebbe fatto? Se c’era anche una sola probabilità su mille di salvare lo sventurato, avevo il dovere di leggere subito. Ed ecco quello che lessi.
Oh, no. Io non sono un teppista del telefono. Non bisogna con troppa facilità tacciare di teppismo chi forse non è che un sentimentale. Che cos’è un teppista del telefono? Uno che molesta il prossimo anonimamente, per mezzo del telefono. Io no. Io sono un sentimentale. Ogni tanto, per esempio, avevo la nostalgia di riudire la voce di un mio caro amico, Giovannetty. Lo chiamavo al telefono, lo ascoltavo mentre diceva con insistenza: «Pronto? Con chi parlo?»; io, zitto, stavo ad ascoltare per pochi secondi, poi pian pianino riattaccavo il ricevitore. Giovannetty non sospettava nemmeno lontanamente che il suo vecchio amico s’era procurato il piacere di riudir la sua voce. D’altronde, è un attaccabottoni e, se non fossi ricorso a questo sistema, non me ne sarei liberato tanto facilmente. È colpa mia se sono nato con un temperamento nostalgico? Perciò ditemi tutto, ma non mi dite teppista. Ditemi, magari, sentimentale. Incorreggibile sentimentale. Ecco, sentimentale lo accetto, teppista no.
[Achille Campanile, Manuale di conversazione, Milano, Rizzoli 2012, pp. 232-233]
giovedì 18 Luglio 2013
«Vado a Pavia, signore» mi disse a bassa voce il viaggiatore taciturno, mentre il treno filava nella notte attraverso la campagna addormentata.
Sotto la luce vivida della lampada blu, che faceva un poco spettrali i loro visi inclinati su un omero o volti verso l’alto, i compagni di scompartimento dormivano, con le bocche aperte nel sonno, taluno come se non respirasse.
«Per affari?» bisbigliai.
«Per completare le mie ricerche sul povero Piero.»
«Un suo parente?»
«No.»
«Amico?»
«Nemmeno.»
«Conoscente?»
«Neanche.»
«Ho capito. Un personaggio storico.»
«Ohibò.»
«E chi è?»
«Non so dirglielo. Non so quasi nulla di lui. Appunto per questo vado a Pavia.»
La cosa si presentava sotto i segni della stranezza. Fuori continuava a piovere sulla campagna allagata.
«Volentieri,» dissi «udrei qualche particolare su questa storia, che mi pare piuttosto curiosa.»
«Molto,» disse il viaggiatore taciturno «molto.» Continua a leggere »
giovedì 6 Giugno 2013
Le grammatiche su cui si studiano le lingue saranno utilissime per impararle, ma non altrettanto per la logica e il buon senso. Il che, tuttavia, non rappresenta un danno in ogni senso. Anzi potrebbe contribuire a dare ai rapporti fra le persone un carattere quanto mai spensierato e fantasioso che conferirebbe alla vita un aspetto dei più piacevoli.
Dalla grammatica inglese:
«Portaste il binocolo?».
«No, ma portai il vostro ventaglio.»
Col che si imparano parecchi vocaboli, non c’è dubbio. Ma non è chi non veda un ventaglio esser tutt’altra cosa che un binocolo. Non c’è niente in comune fra i due oggetti. Come è possibile parlare di ventaglio a chi vi chiede notizie del binocolo?
Vediamo: dove, quando e perché si può domandare a qualcuno se ha portato un binocolo? In teatro, o in occasione di una gita in luoghi panoramici, o per esigenza belliche.
Ora, ammetto che in un teatro possa essere utile anche un ventaglio, benché abbia un’altra funzione e non sarà certo esso che mi permetterà di apprezzare le bellezze di un corpo di ballo. Ma su una montagna! Che ne faccio d’un ventaglio, se ho bisogno di un binocolo?
Non parliamo poi d’una casamatta o della tolda d’una nave da guerra. Immaginate un generale nel suo osservatorio o un ammiraglio sul ponte di comando, che durante l’infuriare della battaglia, dovendo seguire le mosse del nemico, domandi all’aiutante di campo: «Portaste il binocolo?» e si senta rispondere: «No, ma portai il vostro ventaglio». Anche ammesso che faccia molto caldo, in quel momento il comandante ha bisogno di guardare.
Forse gli autori degli esercizi di traduzione immaginano un mondo di stolidi. Ecco un altro dialogo della grammatica inglese:
«Mamma, comperasti la tovaglia?».
«No, ma comperai il rasoio per tuo fratello.»
Una famiglia di pazzi, evidentemente. Pazza la madre, che forse immagina si possa apparecchiare la tavola col rasoio; e pazza la figlia, che dal manuale non risulta essersi minimamente turbata alle parole inconsulte della vecchia insensata.
[Achille Campanile, Manuale di conversazione, Milano, Bur 2012, pp. 15-16]