Shel
Al bancone dell’Autogrill c’è Shel Shapiro. Sembra in forma. Sta bevendo una spremuta d’arancia, cincischia con il telefono, nessuno lo caga.
Mi avvicino, gli dico Shel, lui si gira, mi sorride e fa il gesto delle corna rock’n’roll. Loris mi chiede se ci sono ancora, gli rispondo di aspettare un attimo che gli passo una persona. Porgo il telefono a Shel e gli chiedo di cantare il ritornello di Bisogna saper perdere. Lui se la ride, esegue, ci facciamo fare una foto dalla ragazza che sta lavorando, la mando subito a Loris e do un cinque a Shel.
Che cazzo ci fai con Shel Shapiro, coglione, mi chiede Loris, ridendo. Gli dico Scusa mi stanno chiamando, ti richiamo io.
Poi mi accorgo che Shel ha i miei occhiali da sole appesi alla camicia. Gli dico Shel quelli sono i miei occhiali. Quali occhiali? Mi risponde. Quelli gli dico, quelli sono i miei occhiali, li ho appoggiati qui sul bancone un minuto fa.
E secondo te io giro per il mondo a rubare gli occhiali alla gente, mi chiede lui, seccato.
Ma no, ma figurati, non mi permetterei mai di accusarti di una cosa del genere. Solo che, ti giuro, quelli lì sembrano proprio i miei occhiali. Erano qui, un momento fa, ora non ci sono più e tu ora ne hai un paio uguali identici addosso.
Questi qui sono i Ray-Ban che mi ha regalato mia figlia per Natale e se non la pianti di rompere i coglioni chiamo la polizia, mi dice.
[Domani esce per Accento Ma io quasi quasi, di Michele Bitossi, un altro libro che viene da Trovare la sedia, un corso della scuola Karenin]