Con una gran scollatura

sabato 6 Luglio 2013

e dopo un minuto neanche era scesa questa signora mora, con una gran scollatura, me la ricordo ancora, una bella signora, Luciana, vestita benissimo, io invece cosa vuoi che avessi addosso, un paio di braghe, un maglione, un paio di scarponcini di cuoio con la punta rotonda che li avevo comprati una volta in un supermarket, che quelli mi sembrava che tenevano l’acqua e infatti era vero, solo che eran di un duro, ci avevan messo sei anni, a diventar comodi, avevo fatto una fatica, a portarli, i primi anni, però dopo poi quando eran diventati poi comodi li avevo portati per altri sei anni che eran di un comodo, prima che si rompessero, come m’è dispiaciuto, si eran proprio sfondati lì nel calcagno, aperti in due, però la loro campagna l’avevano fatta, mi eran durati dodici anni.

[uscirà a settembre, per il Saggiatore, La Svizzera, che è la rielaborazione, in forma teatrale, con alcuni dettagli e un finale diverso, del monologo di Benito che c’è dentro A Bologna le bici erano come i cani]

25 settembre – Copparo (FE)

domenica 25 Settembre 2011

Domenica 25 settembre,
a Copparo (FE),
alle 18 e 30
in piazza della Libertà,
parlo di
A Bologna le bici erano come i cani,
con Fabrizio Fiocchi.

Un’intervista

martedì 29 Marzo 2011

[La pluriripetente della scuola elementare e della scuola media di scrittura emiliana Camilla Tomassoni stamattina discute una tesi nella quale, alle fine, c’è un lunga intervista che metto qua sotto, grazie Camilla]

La casa editrice Marcos y Marcos ha appena ripubblicato Disastri, l’antologia di scritti di Daniil Charms che hai tradotto per Einaudi (Stile Libero 2003). Prima di Disastri, il lavoro di riscoperta di questo autore, a cui sembri essere molto legato, era stato condotto, in Italia, quasi esclusivamente da Serena Vitale e da Rosanna Giaquinta, che comunque avevano presentato un’opera di Charms piuttosto diversa da quella che proponi tu ai lettori. Qual è stata l’idea che hai seguito nel tradurre e curare questo libro?

La Vitale ha trattato Charms all’interno di un’antologia sull’avanguardia russa, della quale Charms e il suo gruppo rappresentano una specie di appendice, quindi in questo senso forse ha avuto ragione, a non enfatizzare l’importanza dell’opera di Charms nell’ambito dell’avanguardia russa, e tra l’altro la Vitale scriveva in un momento nel quale i testi di Charms ancora non avevano la diffusione che hanno oggi e che hanno cominciato ad avere dalla fine degli anni ottanta (la stessa cosa si può dire per il modo in cui parla di Charms Vladimir Markov nella sua bellissima Storia del futurismo russo); l’edizione curata dalla Giaquinta, Casi appunto, è uscita più tardi, nel 1990, e senza questo libro l’edizione di Disastri probabilmente non ci sarebbe stata, o, se anche ci fosse stata, non sarebbe stata così com’è. Io ho conosciuto Charms attraverso Casi, che è una specie di presentazione di Charms al pubblico italiano, è un testo che comprende opere molto diverse, tra loro, prose brevi, saggi filosofici e musicali, testi biografici, lettere. È un volume, Casi, che credo non sia stato pensato per essere letto dall’inizio alla fine, è un prezioso libro da consultazione, secondo me, ed è un libro al quale io sono molto affezionato e che, esistendo già, mi ha permesso di provare a fare qualcos’altro.
Facendo delle prove, prima di proporre l’antologia all’Einaudi, avevo avuto l’impressione che in Casi ci fosse un italiano leggermente più alto della lezione originale, come si fa di solito da noi, dentro nei libri, si alza, un po’. Ecco, io ho provato a riprodurre, per quanto son stato capace, il suono, di Charms, senza curarmi, quando non la trovavo nell’originale, di una coerenza grammaticale che a volte ritrovavo invece nella lezione della Giaquinta, e questa è una differenza ma la differenza principale, tra Disastri e Casi dipende, credo, dal fatto che io ho cercato di mettere insieme un libro che si potesse leggere di seguito, dall’inizio alla fine, tutto d’un fiato; ho provato, attraverso l’alternanza tra brani letterari di Charms e brani presi dai suo diari, a costruire una specie di sottotrama che tracciasse uno schizzo, per quanto minimo e impreciso, di Charms, schizzo che poi, nei limiti delle mie capacità e del materiale biografico a disposizione, ho provato a completare nel saggio finale. Alla fine, non so se funziona, se funziona dovrebbe esserci un libretto che il lettore non ha difficoltà a seguire dall’inizio alla fine e dove risuona, in un certo senso, la voce dell’autore, cioè di Charms, e dove, un po’, se ne vede forse anche la faccia.
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17 gennaio – Firenze

lunedì 17 Gennaio 2011

Lunedì 17 gennaio,
a Firenze,
alla libreria Brac,
in via dei Vagellai 18r
alle ore 18,
A Bologna le bici erano come i cani.

Intervista

venerdì 19 Novembre 2010

La bicicletta e Bologna: in che rapporto sono?

Ho paura di non essere capace di risponderti tanto bene. Non sono un esperto né della bicicletta, né di Bologna. Ho scritto un romanzo, che si intitola A Bologna le bici erano come i cani, che voi molto gentilmente avete pubblicato (me l’avete commissionato, a dire il vero, se non l’aveste pubblicato sarebbe stato strano), ma, al di là del romanzo, e delle cose che si dicono dentro il romanzo, mi vien da dire che dei rapporti in generale tra Bologna, le bici (e i cani) io non so niente.

Quando sei in sella vedi le cose diversamente?

Anche qui, ho paura di non essere capace di risponderti bene. Per me la bicicletta è il mezzo che uso abitualmente: direi piuttosto che vedo le cose diversamente quando vado in macchina. Continua a leggere »

5 novembre – Roma

venerdì 5 Novembre 2010

Venerdì 5 novembre,
a Roma,
alla libreria Giufà,
in via degli Aurunci, 38
alle ore 20 e 30,
si legge da
A Bologna le bici
erano come
i cani.

Un’intervista

mercoledì 27 Ottobre 2010

Il libro non è una guida ma “quasi” e invita ad andare in bicicletta, non fosse altro che per perdere peso…e tu, sei un amante della bicicletta? Hai avuto qualche disavventura o avventura sulle due ruote degna di nota?

Non direi che il libro inviti ad andare in bicicletta; è un libro dove l’io narrante, quello che parla, è uno che si muove praticamente solo in bicicletta, e il protagonista è un ex meccanico di biciclette, ma a me sembra un romanzo che è andato dove ha voluto lui e dietro il quale non c’era nessun intento, non so come dire, didattico. Non direi nemmeno di essere un amante della bicicletta, ma solo perché la locuzione «essere un amante di» non mi viene da usarla. Forse mi verrebbe più da dire che sono un odiante delle macchine, ma non sarebbe vero neanche quello. Sono uno che va in bicicletta perché si trova bene ad andarci, e che delle volte pensa che se non avesse la bicicletta peserebbe 120 chili.

Dovendo scrivere davvero una guida di Bologna puoi indicarmi almeno tre luoghi da raggiungere o percorrere in bicicletta? E perché?

Non mi sembra di avere mai fatto delle passeggiate, in bici, non mi sembra di avere mai girato così, per diporto, come si dice, sono sempre andato in giro per necessità, e i posti che a me piacciono di più, ma non è che li consigli, sono una piccola zona della città che si chiama Pontelungo, vicino a Borgo Panigale, ma di qua dal ponte, e una stradina che c’è dietro il deposito degli autobus di via Battindarno.
Il Pontelungo per me è un posto stranissimo: è proprio sul fiume, c’è la salita del ponte e lo slargo del fiume e un’idea che non so definire bene; c’è la via Emilia che si apre appena e poi si richiude subito alla vista per la salita del ponte, e uno delle volte ha l’impressione che anche il cielo, si apra. Non credo sia vero, ma a me ogni tanto vien da pensare che non sia un caso che, come racconta Bacchelli, sia proprio lì, al Pontelungo, che doveva cominciare, nel luglio del 1874, la rivoluzione anarchica di Bakunin e Andrea Costa. Dietro al deposito di via Battindarno invece c’è un idea di abbandono che a me ricorda un po’ l’Unione Sovietica per come l’ho conosciuta io all’inizio degli anni novanta, e a me piace molto, ma non consiglierei a tutti di andarci.

Almeno un luogo da evitare?

La tangenziale. Continua a leggere »

Biciclette

martedì 5 Ottobre 2010

a-bologna

Una volta c’era una, su un treno, di fronte a me, stava mangiando un Buondì al cioccolato, che io quando vedo quelle cose lì confezionate, siccome ho fatto una stagione al Battistero, tanto tempo fa, quando vedo quelle cose lì confezionate penso sempre “Chissà quel cioccolato cosa ci han messo dentro”. C’era questa qua, le era suonato il telefono, aveva risposto, aveva ascoltato un po’ e poi aveva detto: «Non ti amo più». E aveva messo giù. Poi aveva finito il suo Buondì al cioccolato.
E io mi ero ricordato di una volta che su un treno, era un treno regionale, pieno murato, e io ero in piedi nel corridoio, e con le braccia e le gambe toccavo contemporaneamente tre o quattro persone, e era inverno, e dentro il treno c’era il riscaldamento al massimo, e c’era un caldo che si crepava, e aveva suonato il mio, di cellulari, e io, piegando il bacino da un lato e facendo scivolare il braccio destro lungo il tronco avevo estratto il telefono dalla tasca e avevo risposto e mi avevano detto: «Ti odio». E io avevo detto: «Va bene».

Biciclette

sabato 25 Settembre 2010

a-bologna

La droga, secondo me, era uno di quegli argomenti, io ne sapevo poi poco, appena un po’ di più che delle Brigate Rosse, perché brigatista rosso non lo ero mai stato invece drogarmi, un po’, mi ero drogato anch’io, la droga era uno di quegli argomenti sui quali era più difficile, parlare, perché la gente non ti ascoltava, staccava il contatto da te e entrava subito in contatto con la propria idea, di droga, che nella maggior parte dei casi era questa: la droga fa male e i drogati son dei delinquenti. Che a sentir quelle cose lì, che i drogati son dei delinquenti, tu, che in un certo senso eri stato un drogato, e conoscevi un sacco di gente che in un certo senso eran stati drogati, e alcuni che in un certo senso lo erano ancora, ti veniva da chiederti: “Ma cosa dite”.

[esce in ottobre]

Un’altra quarta

giovedì 26 Agosto 2010

cani

Questa è la storia di un ex meccanico di biciclette che doveva dire a suo figlio che non era suo figlio. È una storia ambientata a Bologna, che dicon sia un posto dove fino a qualche anno fa la gente si portava per mano la bici anche quando andava a piedi, come se eran dei cani. E dicono fosse un posto dove uno non veniva considerato vecchio finché riusciva ad alzare il piede sopra il sellino. E dicono fosse un posto dove negli anni cinquanta le bici non le chiudeva nessuno, perché le bici del paese le conoscevano tutti, una bici era come una faccia. Cioè in realtà queste cose le dicono, tutte e tre, di Luzzara, e le dice Zavattini, ma il fatto è che l’Emilia, nella mia testa, è una cosa, cioè un’idea, cioè un affetto, che non è che non ci sia differenza, ce n’è tanta, ma l’aria che tiene insieme le cose, la luce che vedi sulla via Emilia, a una cert’ora, che si inonda di luce, che ti acceca, non che non ci sia differenza, ce n’è tanta… ci siam forse capiti.