Anarchici

venerdì 13 Marzo 2009

 francoserantini

Uscirà, tra un po’, un’antologia pubblicata dalla casa editrice BFS (Biblioteca Franco Serantini) con dei pezzi sull’anarchia e sugli anarchici. Il titolo originale era La mia anarchia, o I miei anarchici, non mi ricordo, il titolo definitivo mi sembra sia La rivoluzione è una suora che si spoglia. Io, avevo in mente il primo titolo, ho scritto un pezzetto intitolato Anarchici che ho conosciuto nella mia vita. Lo metto qua sotto (non è molto lungo).

 

Anarchici che ho conosciuto nella mia vita

 

C’era il babbo di un mio compagno di classe, alle elementari, che teneva delle anguille nella vasca da bagno. Era un pittore, di quelli che dipingono solo pagliacci, era stato giocatore di calcio in serie A, l’aveva allenato Nereo Rocco. Non voleva colpire la palla di testa perché diceva che non faceva bene. Raccontavano che le ultime di campionato, quelle che si pareggiava, perché andava bene a tutte le squadre, lui giocava solo nella striscia di campo che era all’ombra. Quando l’ho conosciuto, era sempre vestito con delle tute. Era veneto, di origine, ma con un cognome straniero. Era separato dalla moglie. Lui viveva con i due figli maschi, la moglie con la figlia femmina. Il mio compagno di classe era l’unico, in classe con noi, che non aveva mai il fiocco. Aveva una macchina lunga, una Bmw, forse. Dipingeva di notte, e di giorno, quando andava a dormire, staccava il telefono e anche il citofono. In casa sua ho visto la prima televisione con il telecomando.

Uno lo incontravo sempre in stazione, quando abitavo a Parma. Aveva sempre al collo il fazzoletto rosso e nero. Gli piaceva bere, credo. Andava avanti e indietro in treno, abitava in montagna.

Uno è famoso. Sembra sempre che reciti un po’. È aggressivo e molto gentile, e sa quasi tutto.

Uno faceva il muratore. Quando pioveva, stava a casa da lavorare, e stava tutta la mattina in poltrona a legger dei libri. Delle ore in poltrona a legger dei libri. Una poltrona sul verde, di cuoio. C’è una sua foto, da giovane, con due suoi amici e delle scarpe bianche stranissime. Si chiamava Gaspare e gli piaceva cantare. Delle volte si addormentava con la testa appoggiata alle mani appoggiate sul tavolo. È morto fulminato sul lavoro.

Uno era un pittore che aveva studiato a Mosca. Gli piacevan le donne e molto l’Italia. Una volta ha detto che avrebbe pagato qualsiasi cosa per leggere, in russo, L’atto di volontà, di Assaggioli. L’ho perso di vista. Mi han detto che è andato a abitare in periferia, e che non vede nessuno. Gli dava molto da fare sua mamma, che era comunista anche dopo la fine del comunismo. Gli piacevan le donne, moltissimo. Cercava delle cose.

Uno era in cura in una struttura che si chiamava Diagnosi e cura. Si stupiva di tutto. In generale, non era tanto contento, ma delle volte moltissimo. Ogni tanto diceva Ma io non sono normale. Si vestiva con dei maglioni.

Uno diceva che era ora di smetterla di chiedere Pane e lavoro. Solo pane, bisognava chiedere. Era di Cremona. Si dava molto da fare. L’ho incontrato due volte.

Uno ha una libreria che non ci sono mai stato, non so come mai.

Uno tutte le donne le chiama Signorina. A me mi chiama Professore. Lo vedo una volta alla settimana. Ogni volta mi chiede se ho letto i suoi libri. Dopo mi chiede una sigaretta.

Uno l’ho sentito una volta dire: Eternoritornisticamente. Lui è di destra.

Uno ha un bed and breakfast in una mezza montagna. Lo vedo una volta ogni quattro anni. Non sopporta Mazzini. Aveva un cane bianco, grosso, molto bello, che credo sia morto, l’ultima volta non c’era.

Uno ha giocato a pallone benissimo, ma poi si è fermato. Fa l’infermiere. È pelato, nel senso che si rade i capelli.

Uno fa l’avvocato e ha ottantadue anni. Tutto il giorno lo portano in giro su delle macchine per dei documentari. È stato qui stamattina. Seduto su quella sedia che da quando si è alzato non l’ha toccata nessuno.

[Nota: mi è venuto fuori alla maniera di Repertorio dei pazzi della città di Palermo, di Roberto Alajmo, non so perché]