Amsterdam

martedì 18 Febbraio 2014

spinoza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vera felicità e beatitudine di ciascuno consistono soltanto nel godimento del bene, e non nel vantarsi di essere il solo, ad esclusione di tutti gli altri, a godere del bene; colui che infatti si reputa più beato perché lui solo sta bene mentre gli altri no, o perché è più felice e più fortunato degli altri, non conosce la vera felicità e beatitudine, e la gioia che trae da quella convinzione, a meno che non sia infantile, non nasce da altro se non da invidia o da animo cattivo.
Per esempio, la vera felicità e beatitudine dell’uomo consistono soltanto nella sapienza e nella conoscenza della verità, ma non nell’esser più sapiente degli altri o nel fatto che gli altri siano privi della vera conoscenza, giacché ciò non accresce per nulla la sua sapienza, ossia la sua vera felicità. Chi dunque gode di ciò, gode del male altrui e pertanto è invidioso e cattivo, e non conosce la vera sapienza né, quindi, la tranquillità della vera vita.
Quando perciò la Scrittura, per esortare gli Ebrei all’osservanza della Legge, dice che Dio li ha eletti per sè tra tutte le altre nazioni (vedi Deuteronomio 10,15), che è più vicino a loro che ad altri (vedi ivi, 4,4.7), che a loro soltanto ha prescritto leggi giuste (vedi ivi 4,8), che ad essi soli, infine, si è fatto conoscere trascurando tutti gli altri (vedi ivi 4,32) ecc., non fa che parlare secondo la capacità di coloro i quali, come abbiamo mostrato nel capitolo precedente e come attesta anche Mosè (vedi ivi 9,6-7), non conoscevano la vera beatitudine. Senza dubbio, infatti, essi non sarebbero stati meno beati se Dio avesse chiamato alla salvezza anche tutti gli altri.

[Spinoza, Trattato teologico-politico, traduzione di Alessandro Dini, Milano, Bompiani 2010 (3), p. 139,141]