Alla polvere
Immaginate di aver lasciato Mosca per trasferirvi sulla luna, dove c’è un caldo afoso. E mentre siete sulla luna, all’improvviso venite a sapere che non potete più rientrare in Russia e che la vostra casa è stata affittata a un altro. Poiché sinora nessuno ha mai avuto occasione di leggere la Bibbia e la storia della Russa ritagliate in striscioline sottili e frammiste al giornale del mattino, non riuscirà a dare un’idea dell’impressione che i telegrammi dell’Ottobre produssero in Oriente. Quando Chakrabon ebbe finito di leggere il telegramma erano ricomparse le ombre e il sole non era più a picco.
L’ufficiale riarrotolava il nastro su nitide bobine ordinate con la totale mancanza d’espressione con cui uno studente bocciato all’esame si rimette il cappotto in anticamera. Il tenente uscì nel giardino. Il giardino era visto attraverso uno stereoscopio: tridimensionale, ma irreale. I pennacchi delle palme segnavano con ostentazione il primo piano. A che cosa si può avvicinare tutto questo?
Alla polvere, sospesa nell’aria e imponderabile.
Alla pietà.
Ad un uomo che cammini per una strada invasa dall’erba, cantando senz’accorgersene.
E lo scrittore più essere paragonato:
a una canzone cantata distrattamente;
a Dio, che ha creato il mondo frettolosamente, in sei giorni, ed è contento che il settimo sia una domenica.
[Viktor ŠKlovskij, Il punteggio di Amburgo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1969, pp. 131-132]