Al signor Michele Coppino

domenica 13 Luglio 2014

Carlo Collodi, Occhi e nasi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al signor Michele Coppino
Ministro dll’Istruzione Pubblica
a Roma

Signor Michele

Appena letto sui giornali che l’E. V. aveva fissato il chiodo a voler presentare alla Camera una legge sull’Istruzione Obbligatoria, il nostro primo pensiero fu quello di correre a Roma, per parlarne a voce con lei. Ma poi si credè bene di non farne nulla; perchè venendo costà, bisognava presentarsi a codesto Ministero secondo l’ultima edizione del galateo, cioè in abito nero e cravatta bianca: e noi fiorentini, fin da ragazzi, abbiamo avuto sempre per l’abito nero una repugnanza invincibile. Che vuol che si dica, Eccellenza? Ognivolta che noi vediamo un uomo in pantaloni neri, cravatta bianca e giubba a coda di rondine, e ripensiamo che quel coso lì è creato a immagine e similitudine d’Iddio, ci cascano subito le braccia e ci si patisce per il Creatore, proprio come se il Creatore fosse una persona della nostra famiglia.
Del resto, quest’affare dell’istruzione obbligatoria ha tutta la fisionomia di un affare serio, ed ecco perchè ne ragioniamo volentieri con lei, competentissimo per ogni rispetto nella materia.
Che lei sia un brav’uomo, lo dicono tutti. Si figuri che lo dicono anche gli stessi suoi amici: e questo ci pare un gran fatto, perchè la più atroce violenza che si possa fare al cuore umano, è appunto quella di costringere l’amico a dover dir bene dell’amico.
Che lei poi sia un uomo giusto, basta a farne fede, fra le altre cose, il suo nome di battesimo. Quando un uomo si chiama Michele è segno manifesto che la Provvidenza divina lo ha voluto mettere sotto le ali di quell’Arcangelo che inventò le bilancie e che viene meritatamente considerato come il capo divisione di tutti i verificatori di pesi e misure.
Eccellenza! Se qui non mettiamo un tappo alla rotta dell’Argine, con tutto questo straripamento continuo di leggi obbligatorie finiremo un giorno o l’altro coll’affogare la nostra vantata libertà, quella libertà che ci costa tanti quattrini e che ancora, Dio ci liberi tutti, non è finita di pagare.
Guardi che litania prolissa! Obbligatorio il far da giurati, obbligatorio il servizio militare, obbligatorio il pagamento delle tasse, obbligatorio il far da membro (frase indecorosa e quasi avvilitiva) nelle Commissioni di sindacato, e per giunta, obbligatoria anche l’istruzione elementare. Che si celia! In mezzo a tutta questa farragine d’obblighi, è grazia di Dio se al libero cittadino rimangono appena cinque minuti di tempo, tanto per fare una gita alpinistica sul Monte di Pietà in cerca di un orologio allo stato fossile e di un paio di lenzuoli cristallizzati. Eppoi ci sia lecito domandare: perché usare questa prepotenza sui poveri analfabeti? Gli analfabeti, tempo fa, si contarono, e l’abbaco della statistica governativa fece vedere che raggiungevano la rispettabile cifra di diciassette milioni. Tanto valeva aver dimostrato che le persone istruite rappresentavano in tutto il Regno appena appena un terzo dell’intera popolazione.
Com’è dunque che i meno pretendono di tiranneggiare e d’imporre la loro volontà ai più?
Rammentiamoci, Eccellenza, che il principio universalmente accettato del rispetto dovuto alle maggioranze è la pietra angolare sulla quale riposa tutto l’ingegnoso meccanismo di quelle istituzioni che, per chiamarle in qualche modo, si chiamano liberali.

[Carlo Collodi, Occhi e nasi. Racconti, Acquaviva 2012, pp. 191-193]