A Torino
Siamo a Torino, e l’ultima volta che son stato a Torino, in maggio, ci son stato per il salone del libro e prima di partire da dove abito, da Casalecchio di Reno, località Croce, vicino a Bologna, che io sono di Parma ma da qualche anno abito a Casalecchio di Reno, località Croce, attaccato a Bologna, prima di partire io avevo pensato al posto dove ci sarebbe stato il salone, il lingotto, quella specie di fabbrica che è diventato una specie di enorme centro congressi, e al posto dove sarei andato a dormire, lì dentro al lingotto, un albergo per uomini d’affari, un albergo geometrico, pulito, con un ascensore panoramico, per uomini d’affari, e io, che venivo a Torino per il salone del libro, cioè per la letteratura, per venire a parlare di letteratura, prima di partire avevo pensato che io, quando avevo cominciato a occuparmi se così si può dire professionalmente, di letteratura, cioè quando avevo cominciato a scrivere dei romanzi con l’obiettivo di farlo diventare il mio mestiere, l’avevo fatto, tra le altre cose, e non era una motivazione secondaria, per non avere più niente a che fare con gli uomini d’affari, e con i centri congressi, e col valore aggiunto, perché io, fin da allora e poi anche in tutti questi anni, più passava il tempo più mi è sembrato che la letteratura, più che nei centri congressi, fosse più facile trovarla nella spazzatura, nei cassonetti, negli ospedali, sui filobus, nelle sale d’attesa degli ambulatori veterinari, nei bagni dei cinema, nei sottopassaggi abbandonati, sotto i cavalcavia, nei prati dopo che avevan smontato i tendoni dei circhi, nelle tabaccherie, nei pavimenti dei bar quando eran cosparsi di segatura, nelle file alle casse dei supermercati, sui marciapiedi delle stazioni, in tutti gli uffici di oggetti smarriti, nella paura di chi faceva una cosa per la prima volta, un farmacista, o un medico di guardia, o uno scrutatore, o una bambina delle medie, nel passo di quelli che davano le dimissioni, nel respiro che si prendeva prima di aprire l’esito di una lastra ai polmoni, nel toccare i muri quando era saltata la luce, dappertutto, tranne che in un albergo per uomini d’affari, avevo pensato, ma probabilmente mi ero sbagliato, perché probabilmente si trovava anche in un albergo per uomini d’affari, forse, nel sospiro delle cameriere nel momento in cui si chinavano per guardar sotto i letti, o nel momento che il portiere poteva telefonare a una sua amica senza quei rompicoglioni di clienti, o nel rumore delle stoviglie, al mattino presto, a apparecchiare per la colazione, o nei monologhi dei tassisti che arrivavano dalla stazione o anche che non arrivavano dalla stazione ma da qualche altra parte, nei monologhi dei tassisti da qualsiasi parte arrivassero, cioè in avvenimenti e individui marginali, poco significativi, poco appariscenti, ordinari, sfigati, squallidi, ridicoli, ridicoli, ridicoli, ridicoli.
[Un pezzetto del discorso sul ridicolo, che è anche un pezzetto della banda del formaggio]