Ещё раз

giovedì 17 Giugno 2010

accalappia-5

«Libero». Parola di alto significato; figlia di «libertà» dono supremo desiderato da tutti gli esseri viventi. Ebbene, nel caso specifico che mi accingo a presentare, essa appare (e non soltanto a me) priva di valore, se non addirittura antitetica, perché usata in un contesto abnorme. Ora mi spiego! Nel maggio 2007 ebbi la ventura di perdere la mia cara moglie. Rinnovata la carta d’identità, dopo averla controllata mi accorsi con stupore e con estrema mestizia di ritrovarmi «libero». Allora mi son subito chiesto: libero da che cosa e da chi? Dalla schiavitù, di potermi risposare o di trascorrere la fase finale della mia esistenza nella più completa solitudine? Ma a chi è venuta questa stramba idea di sostituire la giusta definizione di «vedovo» che ti lega ancora spiritualmente al ricordo della compagna della tua vita? Perché non è stata data la possibilità di scelta? «Libero» può andar bene a un divorziato, anche a uno scapolo oggi che non c’è più la tassa sul celibato, ma non a chi desidera conservare la memoria della compagna scomparsa. Ed è per questo motivo che il termine «vedovo» lo trovo, anche se funereo, più acconcio dell’impropria definizione di «stato libero».
Antonio M.

[Dal materiale per il numero cinque dell’Accalappiacani – Almanacco dell’anno scorso]