Sotto le gambe dei tavolini

lunedì 1 Settembre 2014

erofeev, mosca petuski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E vorrei finire con due cose, una scritta da Evgenij Popov, l’altra da Fëdor Dostoevskij. Popov, che è quello che ha scritto che Mosca–Petuškì in Russia lo conoscono tutti quelli che hanno un rapporto, per quanto minimo, con la letteratura o, nella peggiore delle ipotesi, con la vodka, prova anche a spiegarsi il motivo della straordinaria popolarità del poema (ferroviario) di Erofeev. E dice che forse dipende dal fatto che Erofeev, «diversamente da altri scrittori, non è venuto dal popolo, ma nel popolo è rimasto». Erofeev, scrive Popov, «ha vissuto la sua vita terrena come un uomo semplice: ha bevuto, ha girovagato, si è sposato due volte, è diventato padre e nonno, i suoi taccuini sono stati trovati sotto le gambe di tavolini zoppi di legno, dove avevan servito da zeppe, fogli con la sua scrittura sono stati usati per chiudere barattoli di marmellata», scrive Popov, e con questo abbiam quasi finito. Volevo solo aggiungere che, chiedo scusa se parlo di cose che mi sono successe, volevo solo aggiungere che tradurre questo libro mi ha fatto tornare la voglia di leggere i classici russi, e mi son messo a leggere i Fratelli Karamazov, di Dostoevskij, e avevo appena cominciato che ho trovato una frase che ho pensato che forse era la frase ideale per finire questa introduzione. Alla fine della sua prefazione, Dostoevskij scrive: «E questa, in sostanza, è la prefazione. Sono perfettamente consapevole del fatto che era superflua, ma, dal momento che è stata scritta, lasciamola qui».

[Dall’Introduzione al poema ferroviario di Venedikt Erofeev Mosca-Petuški (che esce dopodomani, se non sbaglio)]