Social network n. 3

sabato 8 Settembre 2018

Io faccio una vita piuttosto ordinaria e devo dire che nella mia quotidianità, ormai, i social network hanno sostituito il bar. Negli anni 80 del 900 la maggior parte dei miei pomeriggi li passavo al bar, negli anni 10 di questo secolo nuovo la passo sui social network. Ho aperto un blog tanti anni fa, dieci, forse, e da allora metto su quel blog un paio di cose tutti i giorni, non solo cose che ho scritto io, anche cose scritte da altri, prevalentemente da russi, visto che la letteratura russa è quella che conosco meglio e l’unica che ho studiato con una certa costanza per un periodo di tempo non breve (fa un po’ impressione, dirlo, ma sono trent’anni, ormai). Gli unici giorni, in questi anni, in cui non ho aggiornato il mio blog, son state due settimane che ero in ospedale, cinque anni fa, per un trauma cranico, e i lettori del blog, mi hanno raccontato poi dopo, si erano accorti che era successo qualcosa perché non aggiornavo il blog.
Come se i miei amici, negli anni ottanta, non mi avessero visto per due giorni di seguito al bar. Io, i giorni che non ho niente da dire, io di solito scrivo sul blog «Oggi non ho niente da dire»; quando non ho da dire neanche il fatto che non ho niente da dire, o quando ho molto da fare, allora io non è che non scrivo niente, adesso; adesso scrivo «Ho molto da fare ma sto bene, non sono in nessun ospedale, sono a casa a lavorare», o qualcosa del genere, perché mi dispiace che qualcuno, magari solo uno, si preoccupi per via del fatto che non ho scritto niente, quel giorno lì. Uno dei titoli più belli, dei libri che ho letto negli ultimi anni, è un titolo che poi è stato cambiato dalla casa editrice, è il titolo del primo romanzo di Ugo Cornia, Sulla felicità a oltranza, che, in origine, si intitolava Tra un po’ saremo tutti morti e che io, quando l’avevo letto, ero stato stupefatto dall’esattezza e dalla semplicità di quella previsione: tra un po’, tra qualche decina di anni, che sono pochissimo, in confronto all’eternità, tutti noi, tutti i vari miliardi di esseri che respirano in questo momento sul globo terraqueo, tra poco, tutti noi che abbiamo in comune, se non altro, l’attività respiratoria, qui sulla terra, sui mari e nei cieli, smetteremo tutti di respirare, e non è una cosa necessariamente triste, ma, soprattutto, è una cosa vera, e detta, in quel titolo, in un modo ammirevole (che mi ricorda una memorabile quartina di Metastasio che dice: “Non è ver chi sia la morte / il peggior di tutti i mali / è un sollievo de’ mortali / che son stanchi di soffrir”).
E questa cosa così comune, morire, succederà anche a me, e allora chissà cosa ne sarà, del mio blog, e dei miei account di facebook e di twitter sui quali tutti i giorni, due volte al giorno, giro le cose che scrivo sul blog perché la gente che mi segue su facebook e su twitter mi dicano che sono bravo, o bravissimo; allora potranno smettere, di dirmi che sono bravo, o bravissimo dal momento che, adesso mi fanno molto piacere, se e quando me lo dicono, allora credo che mi sarà piuttosto indifferente, ma non sono sicuro, vedremo.
Intanto, per il momento, continuo a mettere in rete un paio di post al giorno, cose che hanno più a che fare con la mia quotidianità, che con l’attualità, cose che mi piacciono, o che mi sorprendono tra quel che mi succede e quel che leggo, e l’altro giorno ho messo un pezzetto di un libro che mi piace molto, un libro di Viktor Šlovskij sulla rivoluzione intitolato Viaggio sentimentale quel pezzetto qua: «È bella, un’esplosione. Accendi la miccia, scappi via, ti corichi e guardi. La terra si gonfia sotto i tuoi occhi. La vescica cresce per una frazione di secondo, si stacca da terra. Sale una colonna scura, forte, grande. Poi s’ammorbidisce, assume la forma d’un albero. E crolla, grandine nera. È bello come il nitrito di un cavallo» (la traduzione è di Maria Olsoufieva). Ho scritto questa cosa sul blog e poi l’ho girata su twitter e facebook, e su facebook un lettore ha commentato: «È un’immagine un po’ squallida». Io ho pensato che fosse stato colpito dalla crudezza della descrizione e gli ho risposto che era un libro sulla rivoluzione, bellissimo, secondo me, e che l’immagine, l’esplosione come il nitrito di un cavallo, era bellissima anche lei, secondo me. Lui mi ha risposto che «una donna dalla parvenza sessantottina che simula sesso orale con la maniglia della porta non capisco cosa possa avere a che fare col testo succitato». Allora ho capito che non si riferiva all’immagine di Šlovskij, ma all’immagine di copertina, che è una fotografia del 1924 del fotografo russo Aleksandr Rodčenko a Lilja Brik, per la pubblicità di una casa editrice statale sovietica, la Lengis, nella quale la Brik urla: «Knikgi», che significa libri, e poi c’è scritto «Per tutti i rami del sapere». Allora gli ho scritto che è una fotografia celebre, che non c’entra né con il ’68 né con il sesso orale e ha invece molto a che fare con la rivoluzione russa e con quel che ne è seguito. E lui, questo signore, che si chiama Michele Bussoni, ha scritto «Liminal» che vuol dire subliminale, come a intendere che, apparentemente, quell’immagine non ha niente a che fare con il sesso orale, e con le maniglie, e con il ’68, ma, in realtà parla proprio di quello.
Io, devo confessare, non gli ho chiesto come faceva Rodčenko a parlare del ’68 44 anni prima che ci fosse, il ’68, gli ho dato ragione, gli ho scritto «Certo certo, hai ragione, è evidentemente squallido sesso orale, e Rodčenko è, come è noto, uno squallido fotografo pornografico sessantottino, grazie del contributo», e lui questo Michele Bussoni, ha risposto: «Evito di farvi una lezione sui messaggi subliminali che ci sarebbero sia nella immagine che nel testo. Poiché capire e approfondire non è proprio dell’italiano medio».
Cioè lui, dall’alto della sua preparazione sul ’68, sul sesso orale e sulle maniglie, evita di fare lezioni a noi, italiani medi, che non capiremmo. Io gli ho chiesto per favore di farcela, invece, che sarebbe interessantissima, credo, una sua lezione sulle maniglie, e sul sesso orale, e sul ’68, e nel caso ne parleremo nella prossima puntata, di questa breve serie sui social, che sarà anche l’ultima.
Intanto, finisco dicendo che la gente, sui social, a me un po’ fa paura, perché certa gente, quando scrive quello che pensa, ti accorgi che han delle teste che non le mangiano neanche i maiali, come dicono a Parma. Solo che, a pensarci, anche certa gente nei bar, a Parma, negli anni ’80, mi faceva un po’ paura perché mi sembrava che avessero delle teste che non le mangiavano neanche i maiali, quindi, dopotutto, niente di nuovo.

[Uscito ieri sulla Verità]