Ritrovare tostapani

domenica 20 Agosto 2017

La stazione ferroviaria di Milano, intesa come Milano Centrale, a me sembra sia stata la prima stazione, in Italia, che è diventata una cosa diversa da una stazione. Nel senso che io, che ho cinquantaquattro anni, quando penso a una stazione penso a due cose, alla sala d’attesa e all’ufficio oggetti smarriti.
Ecco, io credo che sia stata Milano Centrale, la prima stazione dalla quale è sparita la sala d’attesa, e qualche anno fa, stavo andando a Pavia, avevo cambiato a Milano Centrale e a Milano Centrale avevo sentito un annuncio, di quelli che fanno con l’altoparlante, che parlava dell’«ufficio oggetti ritrovati».
Che io l’avevo sentita come una cosa che a me, un po’, mi offendeva, come il segno della scomparsa di un mondo che, anche nei nomi, non era più il mondo al quale io ero abituato, che è una cosa che poi mi è successa tantissime volte.
Nel 2012, per esempio, a Reggio Emilia, quando ero andato a sentire il comizio di chiusura della festa dell’unità tenuto dall’allora segretario del Partito Democratico, che era un signore nato a Bettola, in provincia di Piacenza, nel 1951, che si chiamava Pier Luigi Bersani, che quando aveva cominciato a parlare aveva cominciato così: «Care democratiche, cari democratici».
Che io, non che mi aspettassi che dicesse «Cari compagni», lo sapevo che non lo poteva dire perché una parte del Partito Democratico tra di loro non si chamavan compagni, né mi aspettavo che dicesse «Cari amici», lo sapevo che non lo poteva dire perché una parte del Partito Democratico tra di loro non si chiamavano amici, mi aspettavo, non so, che dicesse «Buongiorno», o «Buonasera», o «Salve», o una cosa del genere, tutto, ma non «Care democratiche, cari democratici».
Che era un inizio che, non l’avrei mai detto, mi aveva fatto rimpiangere i vecchi partiti, il partito Repubblicano, il Partito Socialdemocratico, il Partito Liberale, che, anche se non proponevano delle politiche che mi entusiasmavano, per lo meno avevano un modo, di stare al mondo, che non si sforzavano di esser moderni essendo antichi.
Che il modo di Pier Luigi Bersani a me aveva fatto venire in mente quei versi di Sandro Penna «Felice chi è diverso essendo egli diverso ma guai a chi è diverso essendo egli comune»; ecco, io, da allora, da quel giorno del 2012, ho l’impressione che, non solo i rappresentanti del Partito Democratico, anche i rappresentanti di tutti gli altri partiti e movimenti che sono nati, sono cresciuti e si sono sviluppati intorno a noi in questi ultimi anni siano della gente che sono diversi essendo essi comuni, magari mi sbaglio io.
La stazione di Milano, invece, stavamo parlando della stazione di Milano, e a me, negli ultimi anni, mi sembra sia diventato un posto diverso essendo egli diverso, cioè è un posto dove, quando io arrivo alla stazione di Milano, che devo fermarmici magari per tre quarti d’ora per aspettare una coincidenza che dovrebbe portare magari a Pavia, io sono contento perché posso andare per esempio alla Feltrinelli, che è una libreria, quella della stazione centrale di Milano, dove vendono ancora dei libri, ma tanti, che nel nostro mondo moderno diverso dove tutto sta cambiando così velocemente è una cosa che mi fa ancora abbastanza impressione, devo dire.
Dopo, alla Libreria Feltrinelli di Milano Centrale io sono legato anche per un motivo sentimentale che riguarda la mia tessera laFeltrinelli club, che era una tessera che mi avevano dato tanti anni fa quando pubblicavo i romanzi per la Feltrinelli e, qualche mese fa, ero a Milano Centrale, ero andato a vedere in libreria cos’era uscito, avevo trovato un libro di un americano che si chiama Noah Hawley che mi sembrava che si facesse leggere, ero andato per comprarlo, avevo dato la mia tessera, che mi dava diritto a uno sconto, il cassiere della Feltrinelli avevo provato a usarla, aveva riprovato e poi mi aveva detto «Guardi, non mi è mai successa una cosa del genere, la sua tessera me la rifiuta; io non so cosa dirle, le chiamo il responsabile che parla con lui».
Io gli avevo detto «No, grazie, ho fretta», e avevo ripreso la mia tessera ero uscito.
Non era vero, non avevo, fretta, mi volevo godere quel momento lì che io ero sicuro che mi avessero annullato la tessera per una cosa che avevo scritto su un qualche giornale, magari proprio sulla Verità, o su Libero, o sul Fatto quotidiano, o sul Foglio, o sul Manifesto che sono, più o meno, i giornali sui quali ho scritto, e ogni tanto mi era capitato di fare una recensione di un libro Feltrinelli che magari non mi aveva proprio convinto, e l’avevo scritto e l’editore doveva essersi risentito, avevo pensato.

E ero rimasto per qualche settimana con questa bella sensazione di essere uno scomodo, che quello che scrive dà fastidio alle case editrici, e per confermare la mia scomodità, con il tono più neutrale possibile, avevo scritto a LaFeltrinelli chiedendo loro il motivo dell’annullamento della mia tessera e loro, molto gentili, mi avevan risposto che stavano sostituendo tutte le tessere del mio tipo e che, se gli davo il mio indirizzo di casa, mi avrebbero mandato volentieri la mia nuova tessera a casa, cosa che hanno poi fatto e adesso ce l’ho, nel mio portafoglio, e la uso, devo dire, anche alla libreria Feltrinelli di Milano Centrale, che è un posto dove, tutte le volte che ci entro, mi ricordo della brutta figura che ho fatto con me stesso quando ho pensato che l’editore Feltrinelli mi avesse sospeso la tessera perché ero scomodo, e quando poi ho scoperto che invece l’editore Feltrinelli non sapeva neanche dove stavo di casa.
E questo ha fatto, per me, della libreria Feltrinelli di Milano Centrale, e anche, in generale, della Stazione di Milano Centrale, un posto a cui io sono affezionato, perché io i posti delle mie brutte figure ci sono affezionato.
E se qualcuno pensa che è strano affezionarsi a una stazione, in quel libro che volevo poi comprare, di Noah Hawley, che si intitola Prima di cadere, e che è pubblicato da Einaudi Stile Libero e tradotto da Marco Rossari, e che avevo poi comprato e letto, si racconta di come ci si possa affezionare anche a un tostapane, e lo si racconta così: «Dove un ingegnere vede forma e funzione, un artista vede un senso. Un tostapane, per un ingegnere, consiste in una varietà di componenti meccaniche e elettriche che funzionano all’unisono per scaldare il pane. Per un artista, un tostapane è tutto il resto. È un aggeggio rassicurante, una delle tante scatole meccaniche in una casa che dànno un’idea di famiglia. Antropomorfizzato, è un uomo con le mascelle spalancate che non si stanca mai di mangiare. Apre la bocca e tu ci infili dentro il pane. Povero Signor Tostapane. È un uomo che, poco importa quanto mangia, non si sentirà mai sazio». Ecco, io, devo dire, la stazione di Milano io me l’immagino anche così, come un enorme tostapane con la bocca spalancata dove continuamente entrano delle fette di pane in forma di passeggeri, e lui non si stanca mai di mangiare, povero Signor Tostapane.

[Uscito ieri sulla Verità]